È di questi giorni la notizia del veto Olandese all’utilizzo di una misera parte delle risorse (oltre 400 MLD) del cosiddetto Fondo “Salvastati” (che brutta parola) per il “Cura Italia” (mammaiutami) elemosinato dal governo italiano per il superamento del limite massimo del 3% del deficit. Al veto olandese per il MES si è aggiunta l’opposizione della Merkel all’emissione, da parte della banca europea, dei tanto agognati Eurobond (ultimamente diventati Coronabond, più trendy) più volte richiesti in prestito da chi, improvvidamente, ci governa.
Emmenomale, dico io. Ad un debito che già supera i 40.000 €uri per ogni italiano – dal neonato all’ultracentenario – non ritengo sia una “right policy”, una scelta “giusta politicamente”, per il futuro del nostro paese, aggiungerne altri. Molto meglio una tassa sulle “ricchezze” di chi ha più interesse a prestare denaro allo stato piuttosto che aiutare qualcuno a non fallire.
Lo stato italiano, dagli anni ottanta – quando era già finito il “boom economico” e iniziava il degrado dei conti pubblici con l’aumento sempre più rapido del debito statale (oggi oltre 2.400 MLD di €uro; non vi dico in Lire) – non ha ancora determinato “che cosa lasciare o non lasciare alle generazioni future”.
Non abbiamo ancora scelto fra l’illogico e malsano comportamento da cicale che comporterà il non lasciare loro niente (a parte i debiti e l’inquinamento di “terra, dei mari e dei cieli”) e quello del rispetto di quella “Golden Rule”, la “regola aurea”, espressione che nei paesi anglosassoni (la perfida Albione in primis) viene utilizzata in economia e in politica per richiamare quella serie di regole morali molto semplici che indicano e “obbligano” ad assolvere i doveri di ciascuno nei confronti degli altri, i nostri doveri nei confronti delle generazioni future. Scelta politica che in Italia viene richiesta di continuo ma non viene mai affrontata davvero. Certo non esiste una regola semplice che consenta di scegliere, una volta per tutte, cosa sia meglio per il benessere delle generazioni future; regole diverse portano a conclusioni completamente diverse ma non scegliere affatto è, senzadubbiamente, la soluzione peggiore che i nostri Cettolaqualunque adottano da decenni. Basterebbe, però, il semplice buonsenso per scegliere di comportarsi in maniera tale da non rischiare di lasciare le generazioni future con il culo per terra.
Fin dall’inizio del dibattito europeo sui deficit pubblici si esortavano i governi nazionali ad attenersi a regole precise. Con il Trattato di Maastricht del 1992 si diede vita all’€uro e si fissò al 3% del PIL il limite massimo del deficit di bilancio, al 60% quello del debito pubblico di ognuno degli stati europei. Quale logica economica ha determinato la scelta di tali limiti, però, nessuno l’ha mai chiarita del tutto.
Questa mancanza di chiarezza deriva, in effetti, dalla difficoltà del calcolo degli insiemi degli attivi e della ricchezza nazionale. Non si riesce ancora a concordare un comune regolamento fiscale, oltre al fatto che – senza alcuna consultazione preventiva – abbiamo aderito alla decisione di creare una “moneta unica senza Stato”: soprattutto senza concordare di mettere in comune il debito e il livello di deficit uguale per tutte le nazioni aderenti all’euro.
Nella teoria economica una comunità “chiusa”, cioè interamente indipendente dall’esterno, “sovrana”, non avrebbe alcuna necessità di fissare limiti al proprio deficit annuale. Si tratterebbe, in tal caso, di una “democratica” scelta sovrana. Non ci sarebbe alcun motivo per imporre a priori regole come quelle, né tantomeno di scriverle nelle tavole di marmo della costituzione, nel più totale disprezzo delle future generazioni e delle loro future maggioranze politiche.
Il debito pubblico, il debito dello stato, come tutti i debiti, per definizione, va “restituito” ai creditori, a coloro i quali, potendo, prestano, in cambio di una remunerazione periodica (gli interessi) e della promessa di una futura restituzione, il capitale necessario allo Stato per sopperire alla differenza negativa fra entrate e uscite. Fra tasse in entrata e il pagamento di personale e servizi utili alla comunità nazionale come la sanità, le pensioni, l’istruzione, la difesa e le infrastrutture (e gli interessi pagati ai più ricchi). Debito che ricade su tutti, rendendoli debitori ma che favorisce una redistribuzione perversa: dai più poveri, che pagano, ai più ricchi, che prestano denaro allo Stato.
Dagli inizi del secolo scorso e sempre più accelerando nei “dopoguerra”, in Europa, si è via via creato quello “stato sociale” il cui “peso” si è fatto sempre più rilevante nell’economia statale delle nazioni europee.
Gli effetti devastanti per l’economia nazionale italiana, causati dal coronavirus, dovranno essere affrontati e “riparati” come nei dopoguerra, affidandoci solo alle nostre capacità e forze nazionali. Non con un ulteriore impoverimento statale determinato dall’incremento del debito ma utilizzando quanto gli italiani hanno accantonato nel passato, con un prelievo straordinario sulla “ricchezza” nazionale che oggi ammonta a 10.000 miliardi di euro.
Avete letto bene, DIECIMILAMILIARDI di euro, il 60% dei quali, (6.000 miliardi) è detenuto dal 10 % più ricco dei contribuenti italiani, mentre circa 82.000 italiani, cioè il 2 per mille dei contribuenti detengono quasi il 4 % della ricchezza nazionale (400 miliardi come il famigerato Fondo salvastati). Tutti questi dati, che non sono delle esagerazioni, sono verificabili consultando le tabelle allegate al “il Capitale del XXI secolo” di Thomas Piketty; oppure, con un po’ di pazienza, collegandosi al sito ISTAT o al sito del World Inequality Report 2018 al link https://wid.world/country/italy/ che pubblica i dati sulle disuguaglianze nel mondo.
Una tassa sulla ricchezza nazionale, applicata ai 41 milioni di contribuenti italiani, e ai diecimila miliardi di ricchezza nazionale, con le aliquote indicate per ogni fascia, come nella seguente tabella:
Fasce di ricchezza | Aliquota d’imposta marginale | ||
Tra | E.. | ||
Fascia 1 | 0 € | 200.000 € | 0,0% |
Fascia 2 | 200.000 € | 1.000.000 € | 0,5% |
Fascia 3 | 1.000.000 € | 5.000.000 € | 1,0% |
Fascia 4 | 5.000.000 € | 20.000.000 € | 1,5% |
Fascia 5 | 20.000.000 € | 100.000.000 € | 2,0% |
Fascia 6 | 100.000.000 € | e più | 2,5% |
consentirebbe di ricavare, una tantum o, molto meglio, ogni anno, oltre 30 miliardi di euro, un misero 3 per mille della ricchezza nazionale ma un più che robusto 1,7 % dell’attuale misero PIL italiano.
Numero contribuenti | % contribuenti | In miliardi di € | |
Fascia 1 | 26.087.469 | 63,628% | 0 |
Fascia 2 | 13.742.028 | 33,517% | 10,67 € |
Fascia 3 | 1.079.390 | 2,633% | 10,30 € |
Fascia 4 | 81.378 | 0,198% | 5,63 € |
Fascia 5 | 8.763 | 0,021% | 2,80 € |
Fascia 6 | 974 | 0,002% | 3,51 € |
A questo punto vedo già insorgere i “liberali un tanto al chilo”, quelli che si intitolano l’esclusiva del dirsi di “essere di destra” mentre invocano tagli e alleggerimenti delle tasse, Flat Tax uguale per tutti, che avvantaggiano solo chi le tasse può pagarle e vanno a discapito di quello stato sociale che invece dovrebbero difendere. La destra vera invece è “sociale”, questa è la profonda e unica essenza della destra. E chi è “sociale”, si adopera innanzitutto per la difesa della nazione e dello stato attraverso la tutela del suo legittimo “sovrano”, quel “demos” che la retorica qualunquista del “tanto paga Pantalone” ha relegato, senza vergognarsene, a “popolo da governare”.