e politici distratti
Le cosiddette “rivoluzioni industriali” degli ultimi due secoli sono state determinate dalla maggiore efficienza nell’uso e nella maggiore disponibilità dell’energia a disposizione nei processi produttivi (prima legna e carbone, poi vapore ed elettricità) mentre quella attuale si è basata sulla velocità di calcolo dei computer e sulle macchine “digitalizzate”. Ormai alla fine, anche quest’ultima “rivoluzione”, come le altre che l’hanno preceduta, sarà sostituita dalla successiva. Siamo all’inizio della nuova rivoluzione industriale basata sulla connessione sempre più stretta fra i desideri, le preferenze delle persone e le cose, fra le incorporee idee e la loro immediata realizzazione materiale.
Tali innovazioni, nella produzione “materiale” delle cose, hanno determinato profondi cambiamenti nella produzione “immateriale” del pensare, del comunicare e dell’agire umano nelle società che di quelle innovazioni usufruiscono. Cambiamenti che, a differenza del procedere per balzi e scossoni dell’evoluzione tecnologica, si evolvono in maniera meno caotica, linearmente, adeguandosi e restando sempre al passo con le nuove idee e modalità produttive e dei mercati. Adeguamenti nel pensare, comunicare ed agire sociale che la politica, troppo spesso, non è in grado di governare e men che meno di determinare.
Le ultime consultazioni (sempre più essenzialmente elettorali e sempre meno politiche), ancora una volta, hanno dimostrato come la politica è sempre in ritardo rispetto all’evolversi delle società e dei mercati, sempre più evolute e veloci. I politici in generale e molti partiti in particolare, non sembrano rendersi conto dei cambiamenti in atto nella società. Perennemente indietro ed estranei ai cambiamenti dei modelli organizzativi e di comunicazione che l’evoluzione tecnologica continuamente elabora ed applica, restano sorpresi allorquando scoprono che altre formazioni politiche, proprio servendosi dei nuovi modelli di comunicazione sociale utilizzati ogni giorno dalla gente, raccolgono percentuali più alte di consenso elettorale. Come dimostrato dall’ultima campagna elettorale.
E non è nemmeno la prima volta, è successo spesso; senza andare troppo indietro nel tempo possiamo citare il nuovo linguaggio/messaggio della rivoluzione luterana, favorito dalla innovazione della stampa; i successi mercantili e speculativi favoriti dalle notizie riportate dai primi giornali; le nuove modalità della pubblicità e della propaganda permesse dalla radio, contemporanee e seguite da quelle dei film e dalla prima televisione del nazista Goebbels, che di come riuscire a influenzare la pubblica opinione se ne intendeva.
Rimanendo nella nostra epoca, basta ricordare quello che capitò alla “occhettiana” macchina da guerra del PCI, troppo tardi evolutosi in Partito Democratico della Sinistra, allorquando si scontrò con il nuovo messaggio sociale che arrivava alla gente dalle televisioni commerciali di Berlusconi. Ne trassero enormi vantaggi gli allora neofiti della politica di quelle stesse formazioni politiche che oggi, guidate da loro, sono rimaste travolte dall’uso “professionale” (ed extrapartitico) che le nuove compagini politiche (sic!) hanno saputo fare del social network più utilizzato dalla gente: facebook.
I computer e le enormi capacità di elaborazione dei dati raccolti sulle preferenze, sulle rivendicazioni, sulle aspettative degli elettori, oggi rendono possibile influenzare l’opinione pubblica e determinarne le decisioni. Qualcuno se ne è accorto e con la divulgazione di false notizie, spesso anche inverosimili, senza nemmeno usare la coercizione fisica tanto cara ai regimi totalitari ha “vinto le elezioni”. Con buona pace della Politica.
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