Modugno campione d’Italia al TDR nel nome di Alessia Mercurio

La rappresentativa pugliese di calcio a 5 femminile è campionessa d’Italia. La selezione regionale ha battuto, questo sabato, in finale 3-2 la Sicilia aggiudicandosi, così, la 54^ edizione del Torneo delle Regioni. Tra le convocate da mister Gianvito Defilippis c’era il portiere Alessia Mercurio, unica modugnese di nascita presente nel gruppo. Capitano e co-fondatrice del team di donne che calpesta l’erbetta dello Sporting Club “Balsignano”, Alessia già lo scorso anno è stata scelta per difendere la porta pugliese e ha sfiorato il titolo che invece quest’anno ha meritatamente conquistato. Le sue prestazioni, come quelle delle sue compagne, sono state superbe e in molteplici occasioni le sue parate decisive.

Nonostante il passo falso nel primo match di girone, perso 6-2 contro le Marche, la nostra rappresentativa è cresciuta in maniera esponenziale psicologicamente e sul campo ha dimostrato di poter affrontare chiunque a viso aperto: superato il turno grazie alle successive vittorie contro Veneto (6-1) e Abruzzo (6-5), è riuscita a battere la Toscana (5-1) ai quarti e il Lazio (3-0) in semifinale, fino ad arrivare alla gioia del match conclusivo – combattuto fino all’ultimo secondo – contro la Sicilia (3-2).

Tra le giocatrici pugliesi a condividere il titolo appena conquistato, si possono citare anche i nomi di Rebecca Pati e Flavia Annese, compagne di Alessia nel Balsignano; mentre di sponda rossonera in campionato (Modugno c5) Marilisa Tricarico, Rebecca Di Turi e Anna Anaclerio.

L’anomalia dell’elettorato modugnese

Più che dalle convinzioni politiche l’elettorato modugnese, nelle amministrative locali degli ultimi quindici anni, è influenzato da una miscellanea di sentimenti, di emozioni. Come giustificare altrimenti l’evidente discordanza tra i risultati delle elezioni politiche nazionali – per molti versi anche delle regionali – con i risultati delle comunali, se non con la capacità dei candidati locali di influenzare con le loro qualità ma ancora di più con i difetti loro addebitati dagli avversari, l’orientamento politico di tanta gente? Come spiegare gli oltre dodicimila voti ai due candidati sindaco di centro sinistra e i duemila voti in meno al loro unico candidato presidente alla regione? E cosa avrà mai influenzato gli elettori modugnesi del M5S che hanno riversato oltre quattromila seicento voti sulla candidata alla regione e solo poco più di 1200 voti sulla lista comunale dello stesso movimento, se non con la diversa capacità di raccogliere voti dei singoli candidati. Antipatia, simpatia, rispetto, invidia sono i sentimenti che nella nostra città determinano l’esito delle votazioni. I nonni di una volta – sicuri di essere capiti – solevano ripetere “la simbatì jè parent alla gocc’” giustificando così, senza rancore, chi da un giorno all’altro cambiava opinione. Questo sembra aver fatto l’elettorato modugnese di destra che ha riversato, in mancanza di proprie liste e candidati, i propri voti sui tre candidati di centrosinistra fra loro alternativi, escludendo Vito Signorile del M5S.
I dati storici delle consultazioni elettorali dimostrano che l’elettorato modugnese non è di centrosinistra, né tantomeno di sinistra, di quella sinistra che oggi, rappresentata dal Pd, raccoglie meno voti di una lista civica. Facile affermare che a condizionare il voto locale è la qualità dei candidati ma a Modugno, in modo speciale proprio nella nostra città, il voto è condizionato parlando male degli avversari; una caratteristica che non ci fa onore. Si fanno circolare volantini anonimi che denigrano ora uno ora l’altro dei candidati; si accusa l’avversario, sempre affidandosi alla “vox populi”, di capziose beneficenze che sfiorano il reato di voto di scambio: tizio paga gli affitti in cambio di voti, quell’altro dona borse di studio di poche decine di euro per raggiungere il maggior numero di persone e quindi di voti; si sussurra che Cramarossa concedesse licenze edilizie a tutti in cambio di voti futuri. Si è arrivati a blaterare che il sindaco uscente Magrone abbia acquisito al comune le aree di Porto Torres, incurante dei maggiori costi per le casse comunali che comporteranno i lavori spettanti ai vecchi proprietari, in cambio dei loro voti, blaterano non tenendo in alcun conto la specchiata e rinomata onestà dell’ex magistrato. Si favoleggia di inciuci milionari, in euro di oggi, per vecchi e nuovi affari: area Auchan; immondizia, appalto costruzione e rifacimento scuole comunali, multiservizi, servizi sociali e tanta altra produzione fecale che per qualcuno, però, sempre come dicevano i nonni di una volta, la loro è come quella di Nunziella, profumata.

Cramarossa o Magrone?

Di costoro, a onor del vero, non si può dire che siano delle persone di malaffare, tutt’altro. Ognuno di loro ha, com’è giusto che sia, delle caratteristiche diverse, dei pensieri diversi in ambito politico. E sin qui il discorso non fa una piega, direbbe Catalano. Che uno nelle sue liste abbia portato il figlio di tizio, impresentabile, (con la speranza che il figlio sia diverso dal padre) lascia il tempo che trova. Così come lascia il tempo che trova che l’altro, Magrone, nella passata legislatura, sia stato sfiduciato dalla sua stessa coalizione. Qual è la differenza fra uno che politicamente manda a quel paese una larga parte del suo “sacrosanto e sovrano” mandato del popolo, quello rappresentato dai consiglieri della sua maggioranza e l’altro che candida il figlio di un ipotetico impresentabile non ancora giudicato né tantomeno condannato? Secondo l’immaginario collettivo di differenza fra i due casi ce né ben poca. Magrone ha un carattere alla “mi son fumino” che gli procura una naturale antipatia da parte di 13 qualcuno (sette + sei nello specifico) ma che non è “reato” e meno che meno “impresentabile”. Ha un background molto interessante, ha fatto un percorso politico sia a livello nazionale sia locale, ha scritto leggi importanti contro la mafia, è un fedelissimo della Costituzione (che secondo lui non si può modificare) la sua personalità è, diciamo così, rigida e strutturata per dirla con un linguaggio affine al candidato Cramarossa che neanche a farlo apposta è psichiatra; non è un difetto, anzi; uno che giura fedeltà a Esculapio per sua natura è portato ad aiutare il prossimo, ad essere completamente a servizio degli altri, oltre a capire i bisogni di chi lo circonda, vista la specializzazione. Che nel porsi all’elettorato lo abbia fatto con un certo garbo e una certa pacatezza è indiscutibile, anche se non passa inosservato un certo disaggio nel parlare che alcuni attribuiscono all’importanza della kermesse e all’obbiettivo da raggiungere mentre altri lo attribuiscono a una sorta di ira compressa. Cramarossa ha fatto della sua vita un percorso netto, senza tanti sobbalzi, è il tipico esempio di uomo dei nostri tempi, dinamico e un po’ impostato, ma anche questi non sono reati, sia ben chiaro.
A entrambi bisogna riconoscere l’amore per la città, che dimostrano a secondo delle loro personalità. Importante sarà come governeranno la città nei prossimi cinque anni, chi di loro avrà il coraggio di “cambiare” il modo di fare politica obsoleto e becero a cui si assiste oggi a tutti i livelli, dove l’azione principale non è cercare di fare il proprio dovere ma di sottolineare il difetto dell’avversario. Il popolo verte in estrema difficoltà economica, è stanco, sfiduciato, non ha un “leader” degno di essere tale e che dia se non altro la speranza che si può consegnare alle future generazioni un mondo come quello che è stato costruito con sacrificio e coscienza sociale da quelle precedenti. È doveroso farlo e solo chi fra Magrone e Cramarossa riuscirà a trasmettere all’elettorato questo messaggio, motivandolo a votare, sarà il nuovo sindaco di Modugno. Si augura alla città di eleggere il capo che in “tempo di crisi” come questo dia una sterzata coraggiosa e innovativa, per il bene di tutti.

Conferenza stampa dei "Popolari"

Nella conferenza stampa di giovedì, alla quale hanno partecipato anche i dirigenti nazionali

On. Salvatore Ruggieri, Giacono Olivieri e l’on. Angelo Sanza, rispettivamente coordinatori di Udc, Realtà Italia e Centro democratico, che si è tenuta in Regione per una prima analisi del risultato elettorale conseguito dal gruppo “Popolari” nelle elezioni regionali del 31 maggio scorso, Salvatore Negro, capogruppo Udc in regione, ha tenuto ad evidenziare come “100 mila pugliesi hanno condiviso con il voto il progetto politico dei Popolari. Un risultato molto positivo frutto di un vero gioco di squadra che andrà compatta avanti fino alla fine della legislatura”, aggiungendo inoltre “Un laboratorio che riunisce i moderati messo su senza clamore e tra mille scettiscismi”. Un risultato ottenuto, nonostante alcune anomalie della legge elettorale che hanno consentito – un esempio fra gli altri – a una delle liste di Emiliano di conseguire con 60.000 voti in meno lo stesso numero di tre consiglieri come i Popolari, mentre la lista “Noi a sinistra” con 1500 voti in più ha conseguito l’elezione di un quarto consigliere.
Giuseppe Longo, eletto per la seconda volta consigliere regionale, ha evidenziato il dato dei 30.000 voti ottenuti in provincia di Bari, richiamando “lo spirito di collaborazione e di familiarità che deve permeare l’operato dei Popolari, evitando fughe in avanti e dichiarazioni inopportune”.
In precedenza, infatti, l’on. Angelo Cera aveva sottolineato che “i voti dei Popolari sono stati cercati uno per uno senza poter contare su altri strumenti di acquisizione del consenso. Ragion per cui questo risultato, espressione dell’area moderata, va accompagnato dal giusto riconoscimento”.
Il terzo consigliere eletto dai Popolari, Napoleone Cera (figlio di Angelo) ha sollecitato una maggiore attenzione da parte del Presidente Emiliano per le politiche mirate sui giovani e sul territorio, con particolare riferimento per la provincia di Foggia abbondantemente trascurata in precedenza, dal governatore uscente Nichi Vendola.

 

"Padiglione 25" al Cunegonda

Al Centro Diurno Cunegonda di Bari S.Paolo presentato il progetto “Padiglione 25”. Estate 1975: un gruppo di infermieri dell’istituto manicomiale Santa Maria della Pietà di Roma, influenzati dalle nuove idee di Franco Basaglia, decidono di autogestire uno dei padiglioni del manicomio. Per 12 mesi, ogni aspetto della vita del reparto viene annotato dagli infermieri in un diario, che diventa l’occasione per raccontare il difficile percorso di liberazione dal regime di segregazione manicomiale. Oggi, mentre attendiamo ancora la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, è importante tornare a rileggere il “diario” del Padiglione 25 anche attraverso un film che dà voce agli infermieri, i soggetti più in ombra nei movimenti che negli anni ’70 hanno contestato il manicomio e cercato di trasformare la psichiatria; un’occasione per discutere il presente del trattamento e cura del disagio psichico, oltre che per riflettere sui pregiudizi che hanno caratterizzato e caratterizzano la percezione sociale della malattia mentale. La storia del Padiglione 25 è insieme specifica ed emblematica: una storia di pochi che si connette a quella dei molti che, nello stesso periodo, confluirono nel movimento di Psichiatria Democratica per contestare i manicomi e la gestione della malattia mentale nei termini sanciti dalla Legge 36 del 1904.
Nel luglio 2013 due professionisti della comunicazione Sergio Bellucci e Massimiliano cominciano a raccogliere la documentazione sulla storia del Padiglione 25 contattando alcuni dei protagonisti dell’esperienza. Le prime testimonianze raccolte da subito convincono del fatto che la storia avvenuta nel 1975, presso il Padiglione 25 dell’Ospedale S. Maria della Pietà di Roma, era un’occasione per discutere il presente del trattamento e cura del disagio mentale, oltre che per riflettere sui pregiudizi che hanno caratterizzato la percezione sociale della malattia mentale in passato.
Viene realizzata almeno una parte di un docu-film anche per far riflettere sui pregiudizi che hanno caratterizzato la percezione sociale della malattia mentale in passato. Gli autori, i testimoni della vicenda e gli abitanti del quartiere di Monte Mario, che hanno costituito da più di un anno una “comunità di memoria” attorno alla storia significativa che il documentario narra, hanno perseguito numerosi obiettivi:
– Documentare la storia dell’assistenza psichiatrica italiana dove la storia del Padiglione 25 è insieme specifica ed emblematica e ci offre un quadro circoscritto – per il suo essere memoria di pochi individui, impegnati in un solo istituto manicomiale, sito in un quartiere alla periferia di una città italiana – ma ricco di rimandi alle esperienze di “apertura” già attive nel resto del Paese (Arezzo, Città di Castello, Perugia, Gorizia e Trieste). Una storia di pochi che si connette a quella dei molti che, nello stesso periodo, confluiscono nel movimento di Psichiatria Democratica per contestare i manicomi e la gestione della malattia mentale in termini giudiziari, sancita dalla Legge 36 del 1904. Il film dà inoltre voce agli infermieri, i soggetti più in ombra dei movimenti che negli anni ’70 hanno contestato il manicomio e cercato di trasformare la psichiatria;
– Riflettere sullo stigma e promuovere il diritto alla salute mentale. Il progetto vuole incoraggiare una riflessione sul vissuto di chi vive una condizione di disagio psichiatrico ed è per questo percepito come persona pericolosa e violenta. La necessità di ridurre il fenomeno dello stigma diviene ancora più urgente se si considera che il pregiudizio nei confronti della malattia mentale può impedire alla persona che manifesta un disagio agli esordi di chiedere aiuto;
– Offrire spunti di approfondimento per gli attuali e futuri operatori della salute mentale. Non è facile immaginare il manicomio se non lo si è vissuto, come non è facile immaginare gli sforzi compiuti da chi ha lavorato nei manicomi per cambiare il trattamento e la cura del disagio mentale nel nostro Paese, affrontando le ostilità che provenivano non solo dalle istituzioni, ma anche e soprattutto da una mentalità ed una cultura che leggeva la malattia mentale solo ed esclusivamente in termini di pericolosità, di scandalo e di esclusione. Il progetto unirà dunque all’intento di documentazione sul passato della psichiatria la finalità di riflettere sul presente, offrendosi come strumento di indagine, sia nella direzione di una “educazione alla diversità” per le giovani generazioni, sia in quella di una complessa formazione professionale per i presenti e futuri addetti all’assistenza psichiatrica.
Il progetto finora è stato interamente prodotto da Ferro 3 e Altera Studio e dai professionisti che hanno offerto gratuitamente il loro lavoro e che hanno aperto una campagna di crowdfunding con l’obiettivo di completare la seconda fase di produzione.
Il progetto “Padiglione 25”, è stato presentato presso per il Centro Diurno Cunegonda, diretto da Gianfranco Carbone e appartenente al Dipartimento di Salute Mentale della ASL del quartiere San Paolo.
Alla proiezione di un estratto del film e alla lettura di alcune pagine del diario ha voluto ha partecipato tra gli ospiti, anche Tommaso Fiore. L’ ex assessore alla Sanità della Regione Puglia, nonché candidato alle elezioni regionali appena concluse, si è sempre mostrato sensibile alle tematiche della inclusione sociale dei disabili psichici . Il direttore del Centro Diurno Cunegonda, Gianfranco Carbone, nel suo intervento, ha sottolineato la necessità che le istituzioni svolgano un ruolo attivo perché questo tipo di strutture – lo ricordiamo, completamente a carattere pubblico – possa continuare a sopravvivere, a dispetto dei tagli indiscriminati operati a livello di governo centrale. Tra le maggiori preoccupazioni, la regolarizzazione dei contratti del personale specializzato, punto di riferimento fondamentale per gli utenti svantaggiati, che tarda ad avvenire.
Non da ultimo, a livello generale, è emerso come la legge 1968/99 che obbliga i datori di lavoro pubblici e privati ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette, il sette per cento dei lavoratori delle stesse realtà, se occupano più di 50 dipendenti, sia ampiamente disattesa, soprattuto dalle aziende private che preferiscono rischiare di pagare le sanzioni previste, piuttosto che procedere alle assunzioni.
Il lavoro che si è intrapreso presso il centro Cunegonda dalla fine del 2012 rappresenta il punto di arrivo di un lungo percorso avviato anni fa nei centri di salute mentale della Asl di Bari. Sin dal 1992, infatti, il Servizio di Salute Mentale del San Paolo si è attivato nella sperimentazione di un centro di aggregazione per utenti psichiatrici, aperto al territorio, e basato sulla sinergia tra istituzioni pubbliche, associazioni di volontariato e strutture sanitarie.

Il centro è attrezzato per lo svolgimento di attività artistiche, formative e ludiche, ed è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle 19, per le attività riabilitative, per le attività di socializzazione, corsi, convegni.

“Grazie ad una corretta gestione e valorizzazione del patrimonio pubblico – ha dichiarato l’assessore Giannini – non solo siamo riusciti a recuperare importanti strutture dal degrado edilizio, ma a metterle a disposizione di servizi primari per la comunità. È importante sottolineare come ‘la persona’ venga messa al centro di ogni nostra iniziativa di governo, attraverso questi interventi si dà attuazione al dettato costituzionale sul diritto alla salute e sul diritto alla vita. Questo modo di utilizzare il patrimonio pubblico, anche attraverso la sinergia tra varie amministrazioni accomunate da un’identità di obiettivi e politiche, è connotato dal concetto fondamentale del rispetto della
dignità umana”.

Per maggiori informazioni visitare i seguenti siti sul web:
https://www.indiegogo.com/projects/padiglione25#/story
https://www.facebook.com/ Pagina: Onda Cunegonda