A Maurizio Panettella? Ma si può dare del fascista a una persona solo con l’unico intento di offenderla?
Sempre più spesso per insultare qualcuno lo si accusa di essere un fascista. Per zittire l’interlocutore che non condivide le proprie argomentazioni gli si dà del fascista. Un termine scientemente usato come offesa, data la caparbia ignoranza della massa sull’esatto significato di fascista.
Fascisti sono stati, per oltre venti anni, tutti gli italiani fino al 25 luglio ’43. Parafrasando il Nerone di Ettore Petrolini, “l’ignobile plebaglia” in quella data “ringraziò” Mussolini e il fascismo passando dall’essere orgogliosi di dirsi fascista a utilizzare tale sostantivo come un insulto buono per tutte le occasioni.
C’è molta confusione sul fascismo, su come nasce, da cosa prende il nome e chi sono i primi a definirsi fascisti.
Il 5 ottobre 1914, pochi mesi dopo l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo – l’attentato che scatenò la prima guerra mondiale – fu sottoscritto il “manifesto programmatico politico de Il Fascio rivoluzionario d’azione internazionalista” nel quale si asseriva “l’utilità della guerra come momento storico indispensabile allo sviluppo di società più avanzate in senso politico-sociale”. I firmatari erano tutti interventisti e sindacalisti rivoluzionari dell’Unione Sindacale Italiana.
È sul programma politico di tale manifesto che si baserà il movimento “Fascio d’azione rivoluzionaria” fondato a Milano, pochi giorni dopo, da Benito Mussolini, all’epoca ancora giornalista socialista, da Alceste de Ambris e Angelo Oliviero Olivetti, sottoscrittori del summenzionato manifesto, entrambi sindacalisti.
Dopo il lungo inverno della prima guerra mondiale, il secondo giorno dall’inizio della primavera del 1919 (il 23 marzo) sempre a Milano, Benito Mussolini ed altri si riunirono per creare “l'”antipartito”… cioè i Fasci di Combattimento, che faranno fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra”. Molti dei fondatori erano di sinistra ma tutti si autodefinivano “fascisti”.
Ma perché si faceva sempre riferimento al “fascio”? Il termine latino fasces indicava i nastri di cuoio rosso che legavano i “fasci” di bastoni di betulla che costituivano i “fasces lictorii” simbolo del potere e dell’autorità dell’imperium romano. Il fascio di verghe, che fu poi assunto come icona del movimento e dell’ideologia fascista, voleva stimolare il senso di “comunanza” dei movimentisti: è impossibile spezzare un fascio costituito da numerose verghe, ognuna delle quali, invece, è facile spezzare singolarmente. Tutto ciò a suggerire che l’individuo da solo non può nulla ma fino a quando rimane unito al “fascio” della collettività sarà invincibile.
La primordiale ideologia fascista incitava a privilegiare gli interessi della collettività rispetto a quelli di ogni individuo, ed esigeva che nessuna singola “verga” osasse mettere in discussione l’unità del fascio.
È facile oggi, un secolo dopo, rendersi conto che non è mai chiaro dove “un fascio di verghe” umano cominci e un altro finisca. Chi sono gli altri che dovrei vedere uniti a me nel fascio di verghe al quale appartengo? Perché non solo la mia famiglia o la città di Modugno, di Bari o la regione Puglia? e l’Europa? e l’intera specie umana sì o no?
Una cosa, invece, è chiara: offendere qualcuno chiamandolo fascista è un sicuro segno di ignoranza della storia. Dare del fascista a chi opera secondo la propria visione della realtà e si attiene fedelmente al rispetto degli obblighi che da questa derivano, non è un insulto, anzi. È il riconoscimento della sua coerenza.
Stia tranquillo, quindi, il consigliere Panettella, non si addolori ma gioisca per esser stato definito fascista.
Se proprio la petroliniana “ignobile plebaglia” volesse offendere qualcuno usando il sostantivo fascista con l’attuale accezione, non dovrebbe farlo con le persone coerenti, bensì con coloro i quali pretendono di piegare a proprio vantaggio l’opinione altrui. Quelli che forti della loro posizione sociale, istituzionale o gerarchica, obbligano gli altri a conformarsi ad una falsa realtà, negando o impedendo loro la scelta di una opinione diversa. In breve con quelli per cui “la mia opinione è l’opinione suprema cui dovete attenervi; non potete anteporre, agli interessi della mia opinione, alcun diverso interesse, di qualsiasi gruppo o individuo. Anche se la mia opera procura danni a migliaia di persone non dovete avere dubbi nel sostenerla. Se non lo fate dimostrerete di essere degli spregevoli traditori”.
Quale opinione, oggi, ritenendola pericolosa viene etichettata come fascista? Come si fa a sapere se qualcuno è un fascista? Molto semplice. Esiste un solo criterio. Se l’opinione di quella tale persona promuove gli interessi di chi è al comando è una buona opinione. Se non li promuove è la fascista opinione di un fascista.
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