miseria e nobiltà
L’opera teatrale fu scritta nel lontano 1888 da Edoardo Scarpetta, nel 1914 ne fu tratto un film muto andato perduto con la regia di Enrico Guazzoni e nel 1954 raggiunse la sua apoteosi che risuona ancora oggi, con l’omonimo film con la regia di Mario Mattioli.
Maturata nella Napoli di fine ‘800, lì viene ambientata da Scarpetta, a rappresentazione della miseria in cui la popolazione versava in quel momento storico, nell’ipotesi che l’estremizzazione ironica del contesto avrebbe potuto risollevare un po’ gli animi, come solo il teatro sa fare.
Diversi i personaggi che sfiorano tutti i ceti sociali del tempo: dalla povertà ai limiti della sopravvivenza di Felice Sciosciammocca, Pasquale e famiglie annesse, che adottano i possibili espedienti per cercare di sbarcare il lunario, all’aristocrazia arricchita e grossolana che impersona Gaetano Semmolone(il cuoco) e famiglia, alla nobiltà che di nobile conserva il titolo, figurata dal marchesino Eugenio Favetti e famiglia, all’esattore-proprietario di casa don Gioacchino ‘castiello’. L’occasione proposta dal marchesino fa ribaltare Felice e Pasquale in una condizione sociale opposta, per cui per un attimo assaporano il mondo della nobiltà, per poi tornare dignitosamente alla cruda realtà, accettandola.
Imbastita in un contesto storico diverso da oggi, ma tenendo conto del successo perenne della commedia, ci sarebbe da chiedersi se magari oggi siano cambiati solo i nomi, i personaggi, ma la realtà è sempre quella, in una società che si reputa all’avanguardia in tema di leggi, di diritti e tutele del sociale.