Teatro in piazza

‘Maestrale d’amore’ è la commedia portata in scena da Gianni Colajemma nel circondario barese, ad allietare queste calde serate estive, con un po’ di ironia e un po’ di risate, che in questo momento storico non fanno male.
La sera del 4 settembre si è svolta a Palo del Colle, nella bellissima cornice storica di piazza S. Croce, inserita all’interno del programma culturale estivo del Comune, riscuotendo un certo successo di pubblico, con le simpatiche gag  tra gli attori.
Ispirata ad un’opera di Pirandello, insegnante discutibile del figlio (Dario Mangieri) della sua amante sposata (Antonella Radicci), rimasta incinta di lui, vuole disfarsi del problema, cercando di attribuire la paternità al vero marito, capitano di un’imbarcazione (TeodosioBarresi), sempre assente e tra l’altro con una seconda famiglia a Napoli. Per ciò, fa ricorso alla farmacista, sua ex amante – Puledra – (Beatrice Amore), come la chiama Rosaria (Lucia Coppola), cameriera schietta ed invadente, la quale, trova un sistema affinchè il marito si riavvicini alla moglie.     

I dialoghi composti di alternanze di linguaggio in italiano e in vernacolo, incluse le licenze linguistiche di cui la nostra lingua barese è ricca, mettono in luce l’eredità lessicale e di costume che si rifanno al nostro territorio.
Tutto, evidenziabile dai personaggi, con ruoli sociale diversi all’interno dell’opera, che, come spesso accade, non vengono rispettati.
Punto focale della commedia, l’ipocrisia, che ‘u professor’(Gianni Colajemma) attribuisce agli altri, credendo di esserne esente, ma di cui, in realtà, ne è anch’egli vittima, man mano che le occasioni si presentano e non sa più come uscirne, in quanto crede di risolvere i  suoi problemi assecondandola e facendone così, un uso sempre maggiore. L’ipocrisia alla fine, diventa sempre più ingombrante, conducendo alla negazione della realtà, poiché viene autoalimentata, ritenendo che sia la strada più facile, egoistica, meno impegnativa e meno dolorosa… soprattutto per se stessi.

Modugno campione d’Italia al TDR nel nome di Alessia Mercurio

La rappresentativa pugliese di calcio a 5 femminile è campionessa d’Italia. La selezione regionale ha battuto, questo sabato, in finale 3-2 la Sicilia aggiudicandosi, così, la 54^ edizione del Torneo delle Regioni. Tra le convocate da mister Gianvito Defilippis c’era il portiere Alessia Mercurio, unica modugnese di nascita presente nel gruppo. Capitano e co-fondatrice del team di donne che calpesta l’erbetta dello Sporting Club “Balsignano”, Alessia già lo scorso anno è stata scelta per difendere la porta pugliese e ha sfiorato il titolo che invece quest’anno ha meritatamente conquistato. Le sue prestazioni, come quelle delle sue compagne, sono state superbe e in molteplici occasioni le sue parate decisive.

Nonostante il passo falso nel primo match di girone, perso 6-2 contro le Marche, la nostra rappresentativa è cresciuta in maniera esponenziale psicologicamente e sul campo ha dimostrato di poter affrontare chiunque a viso aperto: superato il turno grazie alle successive vittorie contro Veneto (6-1) e Abruzzo (6-5), è riuscita a battere la Toscana (5-1) ai quarti e il Lazio (3-0) in semifinale, fino ad arrivare alla gioia del match conclusivo – combattuto fino all’ultimo secondo – contro la Sicilia (3-2).

Tra le giocatrici pugliesi a condividere il titolo appena conquistato, si possono citare anche i nomi di Rebecca Pati e Flavia Annese, compagne di Alessia nel Balsignano; mentre di sponda rossonera in campionato (Modugno c5) Marilisa Tricarico, Rebecca Di Turi e Anna Anaclerio.

"Ladri" in scena a Modugno

L’associazione Teatro Archè, in collaborazione con Federitalia, presenta il dramma in due atti “Ladri” di Dea Loher. “Quando, la quotidianità diventa così particolare e degna di essere raccontata, se non quando apparentemente è così poco appariscente?”
Loher ci fa riflettere su quelle storture, quelle nostre manie che ci offuscano la vista, che non ci fanno ragionare, quei nostri vizi quotidiani a cui ci aggrappiamo nell’illusione che ci tengano vivi, ma che in realtà sono solo delle strade sbagliate, che ci allontanano dalla meta, dal nostro senso originario, dal nostro essere individui sociali, che hanno bisogno di un certo equilibrio tra la ragione e il sentimento, tra la società e la solitudine, tra il lavoro e la vita privata.
La trama è composta da storie differenti, apparentemente distaccate e indipendenti; ogni scena è separata nettamente da quella precedente, sia nel testo del dramma, sia nella trasposizione teatrale. Queste storie si presentano come frammenti, disposti nel dramma in ordine apparentemente casuale; lo spettatore segue contemporaneamente diverse storie, diversi filoni, i cui segmenti si alternano in scena. Non c’è perciò un flusso lineare del racconto, ma differenti racconti simultanei. Non c’è nemmeno un personaggio che possa essere definito come il protagonista e ognuno dei racconti ha la stessa rilevanza. A tal proposito l’autrice stessa dice: “[…] non volevo creare una storia lineare oppure concentrica, e nemmeno un apice, né tantomeno una prospettiva di racconto che ‘porti da qualche parte’. […] non c’è un centro e non si può nemmeno dire facilmente, aha, di questo si parla nel testo.” Non c’è perciò una trama che abbia un punto centrale e una conclusione, semplicemente Loher vuole mostrare degli sprazzi, dei pezzi di vita, senza dover trovare a tutti i costi un inizio e una fine.
Man mano che il dramma si dipana, ci si accorge però che ci sono dei legami fra i soggetti e che essi non sono completamente indipendenti. Le storie cominciano ad intrecciarsi e a creare punti di contatto e tutto contribuisce a rifinire i dettagli dei personaggi e a conoscerli meglio. La struttura del dramma è perciò un ibrido: non sono storie del tutto isolate, ma non convergono nemmeno in una storia più grande; rimangono sospese, in equilibrio.

Regia di Gianluca Schettino

Traduzione di Luisa De Palo

Con la partecipazione di Annarita Cotecchia, Daniele De Bartolo, Donatello Romanelli, Federica Capriulo, Giorgia Villa, Gianluca Schettino, Giusy Assanti, Giuliano Cavalcoli e Lilli Del Zotti.
Assistente alla regia Adele Saracino

Coreografie di Martina Salvatore

Tecnico luci e audio Giacomo Burdi

una poesia per la Mamma Italia

 

MAMMA ITALIA
E’ giorno funesto i suoi figli prigionieri fucilati

Nascosti partigiani armati “maledetta guerra”.
I suoi figli a capo chino affamati
E’ notte è ancora giorno  
I suoi figli raspare l’arida terra fuggire lontano
Non perdona “la fame”.
E’ notte è ancora giorno.
Vede le sue figlie gonna corta, una chitarra e una bandana
I suoi figli fare festa mamma Italia “è contenta”
lacrime allegre e sorrisi sinceri.
Questo giorno non vuole notte ahimè!
Mamma Italia è di nuovo stanca
i suoi figli ora “sciagura” hanno dimenticato
Non più voglia di niente “piomba”
Su di loro il sole nascente…
Una “luna nera” si specchia su tranquille acque.
Chi bada più al fratello, il campo “è deserto”
Nella famiglia solo oblio!.
Mamma Italia “sorride”, si beffa e indossa la veste
E’ notte, “ancora”
Lei sa che è un altro giorno ancora
Ma senza “aurora”

 

Libertà o schiavitù?

“Ho cominciato a 14 anni. Le mie giornate di festa le passavo nelle sale giochi. Le mie assenze a scuola: al 2° anno 1 mese, al 3° 90 giorni, al 4° bocciato per 110 giorni. Lavoravo nel settore ristorazione, ma soldi pochi: guadagnare 5 euro al lavoro non è come guadagnarli alle slot-machine che da 5 diventano 100. I soldi non mi bastavano mai e giunsi a rubare anche ai miei genitori. Davo appuntamenti agli altri, ma a metà strada entravo nella prima sala giochi che trovavo. Il giocatore ricorda le partite vinte, di quelle perse ricorda solo il post. I rapporti erano sempre più diradati, quelli con le ragazze non duravano più di 20 giorni: ero isolato. Ad oggi, per risanare i miei debiti di gioco ci vorranno circa 20 anni. E’ sempre un’illusione prima; dopo sei consapevole di fare una cavolata, ma la fai lo stesso. In famiglia, il giocatore studia il modo, anche la notte, per inventare bugie credibili. Un inferno di dieci anni: non riuscire a dormire, non voler alzarsi per andare a lavorare; oltre al danno economico c’è quello psicologico: sei assente. Di giorno ci penso al gioco; non si guarisce, ma si può arrestare, non puoi sfidarlo, perché è più forte di te. Ora riesco a guardare gli altri, ad avere degli obiettivi.” Questa la toccante dichiarazione di un ragazzo di 28 anni, giocatore d’azzardo compulsivo che ha smesso da circa 75 giorni, proiettata in forma anonima nell’auditorium dell’IISS Tommaso Fiore di Modugno. La scuola, con la supervisione del preside Eugenio Scardaccione, ha realizzato un progetto in collaborazione con il Circolo ACLI e con il SER.D. (Servizio per le  Dipendenze) di Modugno. In virtù di una seria sensibilizzazione sui ragazzi per il grave pericolo chiamato quasi innocentemente ‘ludopatia’, gli stessi (della quarta) sono stati invitati alla realizzazione di un cortometraggio realizzato in una tabaccheria del territorio, dopo una serie di incontri coordinati dalla psicologa Eleonora Leombruno, dal sociologo Claudio Poggi e dall’assistente sociale Angela Mosca, nel quale hanno interpretato una situazione a rischio, quella di Davide che diventa un giocatore incallito senza accorgersene. All’incontro ‘La vita non è un azzardo…Modugno gioca responsabilmente’ tenutosi il 28 aprile e presentato da Vito Martinelli, presidente ACLI Modugno ‘San Rocco e San Nicola da Tolentino’ hanno partecipato Don Nicola Colatorti, che ha parlato di cifre paurose sul gioco: ‘800mila i giocatori, 2 milioni a rischio, 1260 euro la spesa nazionale pro-capite, neonati compresi. E’ un fatto sociale, familiare, di riguardo. Lo Stato ha dato l’input in tutta questa storia: non è esso che deve dettare la moralità e la modalità’. Poggi invece: ‘Lo Sportello di Ascolto è un primo momento…In ottemperanza alla L.43/13 i Servizi ASL si interfaccino con Istituzioni e Associazioni Private; questa iniziativa dovrebbe essere assunta anche dal Piano di Zona”. Leombruno invece: “Il gioco è d’azzardo perché è aleatorio e l’errore è la percezione della vincita”. Tonia Colaianni Triggiani, presidente dell’Associazione Vox Amica, su ragazzi e donne: “Il problema è capire cosa c’è dietro il gioco d’azzardo…i ragazzi come prendono i soldi? Dai loro genitori o che altro? E le donne giocatrici? Sono in aumento. La ludopatia è l’atto finale; quello iniziale è la solitudine”. Antonio Taranto, direttore del Dipartimento della Dipendenze Patologiche ASL BA ha detto: “Il SER.D. ascolta i bisogni senza imporre i comportamenti. La ASL è aperta ad un programma di prevenzione e vuole farlo in rete. Giocare è una cosa sacrosanta che si impara da piccoli, poiché nel gioco è nascosto il divertimento; se quest’ultimo viene inibito o usato male, crea delle carenze. L’Industria Nazionale del Farmaco sta cercando la ‘pillola’contro la dipendenza, ma questa va curata con la Psicologia”. Don Vito Piccinonna, direttore della Caritas Diocesana Bari-Bitonto invece: “Dio ha detto all’inizio ‘…Non è bene che l’uomo sia solo’. Non si deve lasciare nessuno da solo, perché la madre di ogni povertà è la solitudine…lavorare non solo sulle riparazioni, ma sulla prevenzione”. “Non è una piaga di ceto, anche se colpisce di più il ceto più basso, ma non c’è immunità. Le ACLI sono al centro della campagna ‘Mettiamoci in gioco’, all’interno della quale, uno degli auspici è di inserire il gioco d’azzardo nei L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza)” ha concluso Nicola Pinto, presidente Provinciale ACLI BA-BAT. A questo punto una domanda sorgerebbe spontanea in tutti noi: vogliamo essere liberi o schiavi di un mostro invisibile?