Pino Tosca: "Questa Terra Uccisa"

Pubblichiamo, per gentile concessione della famiglia, un articolo del compianto Pino Tosca.
Nel bel mezzo del Tavoliere, in quel punto delle Puglie dove il sole d’estate è più accecante che mai, a mezza strada tra il possente castello ottogonale di Federico II di Hohenstaufen e le grotte marine di Polignano, c’è la mia piccola patria.
Terra di sapore arabo, la mia, dove il rosso acuto delle zolle si mescola al verde argenteo degli uliveti che arrivano alle sponde adriatiche.

Patria che conserva ancora negli occhi e nei capelli della sua gente secoli di sofferenze e di conquiste. Suolo ridente, concimato da sangue normanno e saraceno, svevo e aragonese. Centro del tallone d’Italia, di questo pezzo di Stivale che mi ha trasmesso nel cuore un attaccamento quasi mistico alle sue campagne, alla sua memoria storica sorretta dalla spada di Melo e dai forconi sanfedisti, al suo fantasioso folklore di cui si è forse perso il significato,  ma che, in minima parte, ancora resiste e di cui il popolino – la “bassa plebe”, come era definita con sufficienza dai “galantuomini” – non si chiede il come e il perché. C’era e basta. C’era e si doveva fare così. Perché i padri, i nonni e i nonni dei nonni così avevano fatto.
Era ancora il mondo dell’appartenenza ad una comunità.

Sin da piccolo avevo imparato a guardare con diffidenza il “cambiamento”, la cosiddetta “novità”.
Quando i miei decisero di rinnovare il pavimento delle stanze di casa, cercai di oppormi ferocemente. Quella casa risaliva al Duecento ed era stata, tanti secoli prima, un rigido convento di clausura. A tale testimonianza ne era rimasta ancora l’insegna scolpita sul frontale. Sostituire la chìanghe, le pietre lisce, con belle mattonelle verdine non rientrava nel mio ordine di idee. Significava che qualcosa, sotto sotto, cominciava a cambiare.
E se cambia l’estetica, poi cambia anche l’etica.

C’erano tante cose, allora, che davano un senso alla mia vita di bimbo del Sud. Vivevo in una patria in quel tempo così lontano eppur vicino, e non ne avevo coscienza.
A Pasqua, ogni anno, le campane suonavano a stormo. Era il segnale. Tutti quanti, vecchi, bimbi, donne, cozzali – ad eccezione forse di quelli del “circolo dei signori” di Piazza Sedile – si armavano di battipanni, mazze e strascedde, e si davano ad una forsennata caccia al diavolo casalingo. “Fusce, Paponne, ch’arrive Criste!” era il grido di battaglia. E tutti quanti, e io con loro, dagli a pestare sui materassi, sui muri, per terra, a colpire l’invisibile Nemico se si nascondeva in casa.
Poi, dopo la tensione e i colpi a vanvera, la campana taceva, segno della Vittoria divina.

Satana l’avevano ammazzato per bene, ed altrettanto lo avevamo ammazzato l’anno dopo.
Era un simbolo tutto ciò, era ancora la civiltà dei simboli. Ed i più, forse, non se ne rendevano conto. Ma non chiedevano spiegazioni a sè stessi, erano ancora il popolo minuto e semplice, senza contorcimenti intellettualistici. Nessuno di loro, grazie a Dio, aveva letto Voltaire o Marx, al massimo arrivavano al Vangelo.
Paese monarchico, era la mia piccola patria, dove persino i vastasi, la feccia dei cafoni, avevano i lucciconi agli occhi quando sentivano dire “‘u Re”. E sicuramente, dietro quella parola affascinante, più che il metro e mezzo del savoiardo, si nascondeva l’ombra pallida di Franceschiello, in memoria del quale i vecchi contadini ancora cantavano nelle masserie: “Nan velime a Manuele/e nemmanghe a Garrebalde/nuì velime a’Pringepine/ca je’figghie a Marì’Cristine”.

Solo una volta mi assalì un dubbio, e fu quando morì mio nonno. Ed allora, come era “tradizione”, tutti i parenti si riunirono dopo la sepoltura e si fecero un bel “cuenzo”, una grassa mangiata annaffiata con grossi boccali di vino. Non potevo capire allora, tutta la virilità racchiusa in quei bocconi, mandati giù con gli occhi umidi. Ero un bimbo, e mi era difficile capire che quello era un modo tutto “nostro” per dimostrare che il dolore non ci aveva vinto e che la vita continuava.
Non esistevano i termosifoni, in quel tempo, e si scherzava sempre intorno ad un braciere ardente, alla frasciera, ed una rara nevicata era sempre qualcosa di bellissimo e romantico anche per il più rozzo zappaterra. Ed io fanciullo mi perdevo nel largo corso del paese, che mi appariva austero nella vecchia eleganza dei suoi grandi abeti.
Ci ritornai per sempre, dopo quindici anni di emigrazione nordista, alla mia piccola patria.

E cominciai a non riconoscerla più.
Le ragazze non erano più le picciuedde di una volta, masticavano ossessivamente chewing gum made in USA. Si americanizzavano tutti e tutto. Anche il cibo. Persino le ghiemeredde e quelle braciole giustamente osannate da Nicola Pignataro stavano per essere soppiantate da puzzolenti hot dog partoriti da improvvisati fast-food.
Le feste popolari erano state epurate grazie al progressismo clericale che ora faceva rappresentare il “Mistero Buffo” di Dario Fo nella Chiesa di S. Agostino, dove ancora imperversa quel don Giacinto, allevatore politico di tanti amministratori democristiani.

A.S.D. Real Modugno "FORZA 5"

Arsale, Macina e due volte Gattulli, annientano l’Omnia Bitonto e portano a 5 le vittorie consecutive del Real Modugno. Domenica ad Andria, contro l’Atletico per lo scontro diretto.  Continua senza sosta la marcia della matricola terribile allenata da mister D’Amico, verso la vetta della classica nel girone B del campionato di Seconda Categoria.

L’undici biancoazzurro con un perentorio 4 a 1, rifilato all’ Omnia Bitonto (reti Arsale, Macina, 2 Gattulli), allunga a 5 le vittorie consecutive, portandosi a 43 punti, uno in meno rispetto alla capolista R. Sibillano 1950 (44 punti), che però vanta una partita in più (20), rispetto alla compagine modugnese (19 disputate). Seguono l’ Atletico Andria 2008 37 punti (18 partite giocate), Capurso 35 punti (19), Bitetto 34 punti (18), Milan Club Molfetta 33 punti (20) e via via tutte le altre fino alla Fidelis Andria che chiude la classifica con 10 punti (19 partite).

Non c’è che dire, un ottimo viatico, se considerassimo che la 23° giornata, valida per l’ottava giornata di ritorno, vedrà il confronto al Sant’Angelo dei Ricchi (27/02 ore 15.00), tra la squadra locale dell’Atletico Andria 2008 e la compagine modugnese. Partita che si preavvisa sicuramente avvincente. il mister D’Amico, in merito al prossimo incontro, infonde un certo ottimismo nell’ambiente.

“Sono molto fiducioso – dice – sulla possibilità che i miei ragazzi possano conseguire un ottimo risultato, fornendo un’egregia prestazione e fare propria l’intera posta. Se questo, come mi auspico e ne sono convinto, dovesse accadere, per l’infelicità di alcuni organi di stampa che si ostinano con una faziosa convinzione nel considerare l’Andria come la squadra più quotata per la vittoria finale, potremmo allungare in maniera decisiva su questa e approfittando del turno di riposo della Sibillano Bari, giungere al vertice della classifica”.

Per completezza di cronaca la squadra modugnese del presidente Rinaldi, in occasione dell’incontro con l’Omnia Bitonto, è stata premiata con la coppa, per vittoria della Finale a tre per il titolo provinciale F.I.G.C. LND 3° categoria, relativo alla stagione 2009 – 2010.

Amministrative: la Giunta si scioglie e diventano tutti inutili

Frate indovino ci dice che la fine dell’inverno è vicina; un popolare proverbio avverte che allo sciogliersi della neve appaiono …. i difetti. A Modugno di neve ne è caduta poca ma c’è altro che si sta sciogliendo, quindi lasciamo stare il calendario e leggiamo le ultime notizie di Bari Sud Ovest sulle amministrative di primavera. E troviamo subito la conferma di quanto si sente in giro.

Da tempo la gente di Modugno ascolta le dichiarazioni di consiglieri e assessori che si dissociano dalla giunta Rana, pentiti di essere stati parte integrante e sostanziale di quella amministrazione di centro sinistra che ha retto, per dieci anni, il governo della città. Dicono, loro, di non avere alcuna responsabilità in merito ai guasti della gestione Rana; assicurano, di non avere potuto risolvere gli annosi problemi della città perché non erano informati su quanto la giunta Rana deliberava; asseriscono, solo ora però, di non avere avuto nessuna possibilità di cambiare le deliberazioni delle commissioni consiliari alle quali partecipavano. Ci dicono, insomma, che erano completamente inutili. Fossero stati, loro, presenti o meno in consiglio comunale le decisioni erano prese sempre dagli altri.

Anche quando riuscivano a far nominare assessore qualche loro amico, sono rimasti sempre allo scuro delle deliberazioni che il sindaco e i loro amici assumevano; mai hanno potuto partecipare alle decisioni e mai e poi mai le hanno approvate. In pratica ammettono di essere stati inutili. Solo ora però, dichiarano la loro inutilità. Che ci stavano a fare? O meglio, perché ci hanno chiesto, cinque lunghissimi anni fa, di votarli per mandarli lì dove sono stati per tanto tempo a non fare, praticamente nulla? Molta gente pensa, non avendo la possibilità, la voglia o purtroppo il coraggio di dirlo chiaramente che, sì, certamente anche questa volta li voterà, ma per mandarli da qualche altra parte; magari a pulire quello che appare allo sciogliersi della neve.
Pino Oro

Alla scoperta del territorio praticando il Nordic Walking

Due passi immersi nella natura come su una pista da sci. Il Nordic Walking o Camminata Nordica è un’attività sportiva sana e naturale, che può essere praticata ovunque, soli o in compagnia, in silenzio o chiacchierando, per un lasso di tempo breve o per ore intere, eliminando lo stress e liberando la mente.

Il Nordic Walking lo si può anche intendere e considerare come un modo innovativo di approccio con l’ambiente circostante. Nato in Finlandia alla fine degli anni ’90 e diffuso dalla Scandinavia all’Europa centrale (dove a partire dal 2003 sono stati creati numerosi “Nordic Walking Parks”), fino a giungere in oltre 40 paesi del mondo, è oggi praticato da un numero sempre più crescente di persone, pari a circa 7,5 milioni di appassionati, con una grande prevalenza di donne.

La Camminata Nordica, disciplina completa, economica ed efficace, rappresentante uno stimolo per il raggiungimento di uno stile di vita sano e attivo, richiama quindi, milioni di individui ed unisce la valorizzazione della sensibilità ambientale, all’abitudine di fruire pienamente del territorio. La sua valenza, la si può considerare sia come fonte di aggregazione sociale in ambito sportivo e non, sia da un punto di vista medico, dove rappresenta una cura efficace per le numerose patologie causate dalla vita sedentaria, nonché uno strumento efficace per la tutela della salute dei giovani e meno giovani.

Essa, infatti, rappresenta un ottimo allenamento cardiovascolare, che permette di ottenere un miglioramento della circolazione sanguigna, rinforza la muscolatura di braccia e spalle, migliora la postura e la salute della colonna vertebrale, tonifica i glutei, scioglie tensioni della nuca e del collo (zona cervicale), raggiungendo un consumo calorico fino al 50% in più, rispetto alla camminata normale. Ma in cosa consiste praticamente e tecnicamente? La Camminata Nordica consiste nel camminare utilizzando una coppia di “bastoni” appositamente sviluppati per la pratica di questa disciplina.