Il peso del debito pubblico

altQuarantatremila miliardi di dollari, più di trentunomila miliardi di euro che se moltiplicati per 1936,27 lire per ogni euro fa 60 milioni di miliardi; circa. Cinquemila euro per ognuno degli oltre sei miliardi di abitanti della terra.

 

Noi italiani saremmo fortunati se potessimo pagare solo 5.000 euro a testa per pagare tutto il debito pubblico italiano, ma per pagare i 1.900 miliardi che abbiamo di debito ogni abitante del bel paese dovrebbe sborsare 33.000 euro.Ma come è stato possibile accumulare tanti debiti? E come sono stati spesi tanti soldi? E dove sono finiti? Se ci sono debiti ci sono crediti e i soldi non spariscono, ci sono; non circolano ma ci sono.

Quello che alimenta la crisi non è il debito ma la mancanza di denaro, che non circola. Se il denaro non circola non si possono pagare i debiti, se le aziende vengono pagate in ritardo rallenteranno i loro pagamenti, ritarderanno l’accredito dello stipendio dei dipendenti che a loro volta ritarderanno o ridurranno i loro consumi. Meno soldi girano più aumentano i debiti. A vantaggio di chi i soldi li presta, vendendoli ad un prezzo che non sarà mai possibile pagare.

Con la circolazione delle monete d’oro o d’argento si restituiva un prestito aggiungendovi una percentuale che teneva conto dell’usura delle monete che nel tempo perdevano peso. Ogni moneta aveva il suo valore, immutabile nel tempo, ma il suo peso variava per l’usura, quindi l’usura, l’interesse era un rimborso della perdita di peso della moneta nel tempo. Nell’antico testamento, la legge di Mosè prevedeva, ogni 50 anni, la remissione dei debiti; ogni giubileo comportava, tra l’altro, la restituzione delle terre agli antichi proprietari, la liberazione degli schiavi e il riposo della terra. Aristotele asseriva che Nummus nummum parere non potest (il denaro non può generare denaro) e spiegava come solo dal lavoro umano o dal suo intelletto potesse nascere la ricchezza.

Poi sono nate le lettere di credito. Gli orafi fiorentini consegnavano, a chi depositava nei loro forzieri monete d’oro e gioielli, della carta, della semplice carta su cui era scritto quanto era stato depositato nella loro cassaforte. Emettere lettere di credito per un valore superiore a quanto si avesse nei forzieri fu il passo successivo. Altrettanto semplice fu il passare dalle lettere di credito alle banconote che garantivano (e questo fino al 1971) di restituire, in oro, il valore indicato sulla banconota stessa. Da allora, abbandonata la cosiddetta parità aurea, ogni nazione ha potuto emettere titoli di debito (in Italia BOT, CCT, ecc) che acquistati dalle banche vengono da queste ultime venduti ai risparmiatori che in ultima analisi acquistano quote del proprio debito pensando di guadagnarci.

Trentunomila miliardi di euro; in banconote da cento euro, del peso di 1 grammo, vuol dire un peso di 10 kili per milione e cioè dieci tonnellate per miliardo e quindi trecentodiecimila tonnellate, di carta, di semplice carta. Magari sarà proprio per questo che il debito pubblico “pesa” sulle spalle di tutti noi.

I Politici e "La Società Civile"

Il riferimento più usato dai rappresentanti delle forze politiche quando intendono indicare la globalità degli Italiani; è quello alla “società civile”. Quasi fossimo, noi italiani, un unico gruppo, un unico insieme di individui con lo stesso tenore di vita, con interessi comuni. Molti sicuramente ci credono, altri no! Mentono sapendo di mentire.

Collettività, SI! Civile – perché vengono rispettate (!) le leggi che regolamentano usi e comportamenti all’interno della comunità stessa – va bene. Società NO! Società indica un insieme di persone che partecipano alle decisioni, agli utili derivanti da iniziative comuni, un tutt’uno insomma, in cui ognuno partecipa attivamente e pienamente, socio di una società. In una società i soci hanno diritti e doveri regolati dal buon senso e dalla convenienza; nessuno rimane a lungo in una società che produce solo debiti e deficit. Come quella in cui, ruberie e mal governo, ci condannano a vivere.

Per sentirsi soci è necessario partecipare alle decisioni, decidere sulla conduzione, sulla direzione che la società intende seguire per raggiungere lo scopo sociale, altrimenti non si è soci ma inferiori, subalterni, pedine senza valore che altri manovrano sulla scacchiera della comunità umana. Non è possibile sentirsi soci se si deve sopportare il peso delle perdite e rimanere esclusi dalla distribuzione degli utili. Non avere diritti ma solo doveri è da sudditi, non da liberi associati. Sentirsi suddito non è piacevole, avere la consapevolezza di dover lavorare una vita intera per lasciare in eredità ai figli una quota del debito pari a due anni di “salario”. (questa è la quota, il dividendo che la cosiddetta società civile vuole affibiarci) non è proprio quello che gli eredi si aspettano da un buon genitore.

Un precetto che ci viene dato nel Vangelo è quello di amare il nostro simile come noi stessi; nel bene di chi ci è vicino risiede il nostro bene; il bene comune è il nostro bene. La partecipazione agli utili della società umana altro non è che il bene generale. Tale benessere, invece, non viene raggiunto dalla totalità degli individui poiché le leggi che regolano la nostra collettività non sono regole societarie ma obblighi, dettati e imposti da individui che vivono al di fuori della comunità, che seguono regole diverse. Rendere generale il benessere, dividere equamente gli utili è stato ed è il sogno e la missione che tanti uomini hanno fatto proprio, la meta che vogliono raggiungere.

Ma se l’intenzione è meravigliosa altrettanto non si può dire dei medoti usati per raggiungere tale traguardo. Per il raggiungimento di tale fine non si è mai tenuto conto della natura umana, l’uomo è tale prima di essere socio; cercare di ottenere dall’uomo un comportamento che non sia essenzialmente umano significa fallire lo scopo già in partenza. L’uomo trova soddisfazione, nel raggiungere il benessere, quando ha ottenuto quello che gli spetta per capacità, per applicazione, per merito personale; pertanto un individuo si sentirà parte della società, si sentirà socio effettivo quando riceverà la giusta mercede, il giusto guadagno in cambio del proprio lavoro, della propria abilità, il pagamento per i sacrifici che sopporta per il bene proprio e degli altri, per il benessere collettivo.

Rendere l’individuo socio effettivo della società civile deve essere il fine dell’azione politica dei partiti che si rifanno agli ideali di giustizia, di libertà, di impegno civile e rispetto degli altri. Tutti gli sforzi devono tendere alla societarizzazione della collettività umana. Societarizzazione, rendere societario l’ordinamento della nostra comunità, compartecipazione alle decisioni, responsabilizzazione del cittadino per cambiarne la condizione da suddito a socio effettivo. Come raggiungere tali obiettivi deve essere l’interrogativo principale cui i partiti devono dare una risposta.

Anni fa per compartecipazione agli utili si è inteso tutto e il contrario di tutto. La grande illusione del socialismo reale ha portato la comunità umana sull’orlo del disfacimento totale, dell’annientamento nell’olocausto finale a causa dell’eterna lotta di classe, conseguenza dell’imposizione della parità, dell’uguaglianza a tutti i costi a prescindere dalle capacità, dall’impegno personale, del merito individuale, insomma sudditi non soci. Legge fondamentale delle società è la partecipazione agli utili, in base alla quota di partecipazione alla società stessa, più quote più utili, più merito più utili.

Gli Auguri dell' Editore

Auguri di Buon Natale e felice anno nuovo dai giornalisti, dalla redazione e dall’editore di Bari Sud Ovest. Tanti auguri di buone feste a tutti. È probabile che qualcuno abbia voglia di augurare a qualcun’altro una buona fine!!! Noi, invece, auguriamo a tutti un buon inizio d’anno e per fare in modo che il nuovo anno sia più bello, Bari Sud Ovest avrà il suo sito internet. Sul nostro sito web, da gennaio, i lettori troveranno le immagini, i reportage, le interviste, i video con cui noi racconteremo i fatti e daremo le notizie. Il giornale stampato continuerà ad essere un mensile che raccoglierà le opinioni, gli avvenimenti e le interviste come ha sempre fatto. Cercheremo di farlo ancora meglio raccogliendo sul sito web le vostre opinioni, le vostre foto, le vostre interviste e le riporteremo sul giornale. Bari Sud Ovest, con il vostro aiuto, sarà sempre la voce di tutti. Senza limitazioni. Come è sempre stato. Le opinioni personali le teniamo per noi e le discutiamo di persona; pubblichiamo
le opinioni di chi troppo spesso non ha Voce.

Giornalisti di professione

“Troppi giornali a Modugno “, hanno detto in molti acquistando “Bari Sud Ovest”. Eppure l’hanno comprato. Per curiosità. Per vedere come era fatto, chi fosse l’editore e il direttore. Troppi giornali? E perché mai temere il pluralismo? Il confronto, la diversità, lo scambio non possono che essere positivi. Tranne in un caso: quando per farsi spazio si inizia a sgomitare, a calpestarsi e spintonarsi, rischiando di farsi del male. Allora no! Non va più bene. Certo il rischio c’è: di strillare la notizia più degli altri per raggiungere prima l’orecchio di chi ti ascolta; di gettare discredito su quanto dicono i colleghi per accaparrasi credibilità; di farsi portatori insani di principi, convinzioni e idee a seconda del “protettore” politico o economico di turno. Nel mondo dell’informazione locale il rischio manipolazione è alto. Molto alto. Un circolo vizioso. E allora? Allora, se giornalismo si deve fare che sia fatto bene. Mestiere difficile, non c’è dubbio. Nonostante i tanti libri guida del mestiere, non esiste un requisito di fondo, indispensabile, che non si impari a tavolino: la correttezza. La correttezza nei confronti di chi ci legge e crede a quello che scriviamo. Approfittare dell’altrui buona fede, forti del fatto di essere dall’altra parte, di poter avere il controllo della notizia, di quello che si dice e di come si dice, non significa essere buoni giornalisti. Questo però, non vuol dire che per fare giornalismo “come si deve” sia indispensabile avere preferenze politiche di palazzo.

Le aziende della Zona Asi di Modugno chiedono aiuto alle Istituzioni

Cosa succede nella zona ASI? Separata dal tessuto urbano delle due città fin dalla sua creazione, circondata da tre linee ferroviarie e dalle ex Strade Statali 96 e 98, l’area industriale di Bari e Modugno non attraversa un buon momento. Abbandonati da tempo i sogni di grandezza nati con ’arrivo di giganti quali Fiat, Bosch, Magneti Marelli, Isotta Fraschini, Philipps, Osram Sud che insieme alle officine Calabrese, alle Fucine Meridionali, alla Pignone davano lavoro a decine di migliaia di operai e impiegati, l’ASI è in crisi di identità. Le grandi fabbriche, se non hanno già chiuso, sono in difficoltà. L’indotto, cresciuto accanto a tali giganti industriali, si è perso per mancanza di strategie comuni idonee ad affrontare la crisi del manifatturiero e abbandonano l’area. Molte aziende sono state smantellate e gli opifici abbandonati. Le infrastrutture, che non hanno mai raggiunto i livelli necessari e più volte richiesti, ormai mostrano il degrado degli anni e della mancanza di manutenzione. Da sempre stretta fra l’autostrada A14, le direttrici ferroviarie Taranto/Bari/Foggia e le varie strade statali, l’area di sviluppo industriale di Bari e Modugno non ha mai avuto dei collegamenti facili con queste importanti arterie; negli ultimi tempi, anzi, i binari che i vecchi progettisti avevano incluso nella viabilità della zona per collegarla al porto e alle ferrovie, vengono coperti di asfalto a dimostrazione della loro inutilizzazione. Del nuovo casello autostradale che doveva essere realizzato nella zona non se ne parla più da anni. La mancanza di innesti alle infrastrutture viarie per un rapido inoltro ed arrivo delle merci ha penalizzato le aziende del comprensorio industriale. Solo le aziende dislocate lungo le ex strade statali hanno potuto usufruire di tale vantaggio; non è casuale quindi la presenza di aziende di trasporto di grandi dimensioni che stanno occupando tutti gli spazi disponibili. Ed è proprio questo l’aspetto più rilevante che si evidenzia a chi attraversa la zona industriale, che di industriale ormai ha ben poco. Le aziende di trasporto, inglobando alle aree che si affacciano sulle grandi strade le aree retrostanti e utilizzando gli ex opifici come deposito merci, stanno trasformando l’ASI in un enorme polo logistico, con gravi ricadute sui livelli occupazionali del territorio. Da Area di Sviluppo Industriale ad Area Senza Industrie?