Renzi c’è, non è andato via

Matteo Renzi c’è e guida il P.d.R.

Il Partito di Renzi, il partito che ha definitivamente sostituito il Pd. Renzi ha concluso la ultra decennale fagocitazione del partito comunista da parte della democrazia cristiana. Strategia ideata e messa in atto da Moro, proseguita da Prodi con l’Operazione Ulivo, poi ribadita con “l’amalgama mal riuscito” (D’Alema dixit) fra la rutelliana Margherita e i fassiniani democratici di sinistra e ormai completata. C’è solo il Pdr.
Chi dava per finito l’ex premier Renzi sarà rimasto di sasso nell’ascoltare quanto ha dichiarato in TV da Fabio Fazio.
Renzi c’è, non è mai andato via. Dopo il 4 marzo si è dimesso da segretario, ma ormai si era assicurato maggioranze assolute nella direzione e nell’assemblea del partito, ha messo fuori i suoi avversari e concluso, con le ultime elezioni, la sua staliniana conquista del partito garantendo l’elezione ai suoi fedelissimi. Chi, come i pentastellati, pensava ad un governo M5S/Pd non si è accorto del tranello che Mattarella, fortemente voluto da Renzi a capo dello stato, ha posto a Di Maio sulla strada che porta a Palazzo Chigi. Il segnale di pericolo mostrato al “giggino stellato” dalle elezioni in Molise, avrebbe dovuto renderlo sospettoso verso l’incarico affidato al presidente Fico della camera proprio nella imminenza delle consultazioni in Friuli. Elezioni che hanno visto il crollo del M5Stelle, dal 24% dei primi di marzo all’8% di fine aprile. Risultato che ora suona come un campanello d’allarme per Di Maio, che si accorge solo ora che la sua insipienza politica non è affatto utile alla base pentastellata. I grillini avrebbero preferito molto di più che lui si accordasse con la Lega e non che si aprisse un tavolo di trattative con il Pd, ed ora sono ancora più insoddisfatti visto che Renzi ha spento il suo “forno” e che l’unico rimasto aperto è quello gestito dalla nota ditta Salvini/Berlusconi.
Renzi c’è e continua a vincere perché non ha avversari e sa che senza di lui non c’è possibilità di governo ed è per questo che è ormai ad un passo dall’ufficializzare la costituzione del suo partito personale. Ha i numeri per farlo e lo ha dichiarato da Fazio quando ha detto che: “su 52 senatori del Pd non ne conosco uno disposto a votare la fiducia a Di Maio”.
Renzi c’è, Di Maio se ne è accorto e ora chiede a Salvini di accompagnarlo al Quirinale, da Mattarella, per ritornare a votare a giugno, non rendendosi conto che questa è l’opzione che più conviene a Salvini in quanto tutti i sondaggi dicono che, anche con il Rosatellum, il centrodestra otterrebbe la maggioranza nelle prossime elezioni. Inoltre questa soluzione non è molto gradita a Mattarella, perché la vittoria alle prossime elezioni di un centrodestra guidato dalla lega non sarebbe molto gradita dal sistema istituzionale, economico e dei media nazionali. Gli interessi delle pmi del nordest italiano, difesi da Salvini, non coincidono con quelli ai quali guarda l’establishment internazionale. Questo Salvini lo ha capito e per non farsi bruciare, mentre l’inconcludente Di Maio deambula indeciso fra un forno e l’atro, evita, in questi giorni di crisi nel Medioriente, di farsi chiamare al Quirinale e spara dichiarazioni sulla crisi siriana a favore della Russia e dei suoi alleati mediorientali.
Renzi c’è e ha bloccato il Pd per farlo diventare PdR. D’altronde non ci sono più i partiti di una volta e neanche i politici di una volta e Renzi, per questo, ha potuto fare quello che ha voluto fare. Non diventerà mai simpatico ma quello che ha dichiarato in tv: “chi ha vinto governi, chi ha perso faccia l’opposizione” è una cosa alquanto sensata su cui si può anche essere d’accordo.
Renzi c’è e l’abbassare la saracinesca e inserire l’allarme al suo forno, ora che Martina, il facente funzioni di segretario, ha aperto al confronto con il M5S, diventa una cosa alquanto imbarazzante per il Pd. I piddini però dovrebbero essere intellettualmente onesti ed ammettere che erano davvero pochi quelli che seriamente potevano immaginare che il loro partito si alleasse (non inciuciasse, perché, per volontà di Di Maio, ora si dice contratto non inciucio) con chi ha fatto della denuncia contro tutto e tutti del Pd, la sua ragione di esistere. Purtroppo è vero anche che, per l’attuale cultura politica dei leader, non sembra sia necessario preoccuparsi dei contenuti politici da inserire negli accordi. Ma non è poi tanto difficile capire che l’alleanza con i 5Stelle determinerebbe la fine del Pd. A loro interessano i “contratti” nei quali sono la parte più forte, come fanno le banche quando si stipula un mutuo, dove si devono accettare pure quelle clausole scritte in piccolo e che non si possono togliere o come quello che la piattaforma Rousseau fa sottoscrivere agli elettori del movimento. A spegnere ulteriormente l’entusiasmo per un accordo Pd/M5S dovrebbe bastare l’esito deludente delle aperture di Michele Emiliano ai pentastellati, ai quali aveva proposto di partecipare al governo regionale: la porta in faccia gli hanno sbattuta e senza nemmeno tanti complimenti.
Renzi c’è e detta la linea. Dopo quasi due mesi di melina e catenaccio si va alla ripetizione della partita o ai tempi supplementari? Elezioni a giugno o quel governo di minoranza che Berlusconi ha proposto? Per il momento chi è stato messo fuori campo è Di Maio, autore di una asfissiante marcatura su Silvio Berlusconi, che lo ha sfiancato tanto da rendere necessaria la sua sostituzione e reso evidente che lui non è in grado di emulare i politici democristiani che, loro sì instancabili, facevano la spola fra i due forni. Ora il “giggino” di Napoli, che ambiva a diventare “er sor Gigi de noaltri”, quello che avrebbe voluto dettare il gioco del governo, è relegato in panchina e si consegna, mani e piedi, al suo principale avversario: “Lo dico a Salvini, andiamo da Mattarella a chiedere di votare, facciamo scegliere ai cittadini tra rivoluzione e restaurazione” supplica disperato. “Questi, per i loro sporchi interessi, stanno cercando in tutti i modi di fermare la formazione del governo del cambiamento. A questo punto non c’è altra soluzione, bisogna tornare al voto, a giugno”.
Renzi c’è ed è il solo che può infastidire il “capitano” del centrodestra, che non ha ancora deciso se è meglio la ripetizione della partita, come chiede il campione pentastellato seduto in panchina che voleva ad ogni costo provare la sensazione di sedersi invece sulla poltrona di presidente del consiglio, o andare ai supplementari, come da lui stesso richiesti fin dal 5 di marzo. Salvini ora può presentarsi all’arbitro del Quirinale potendo proporre/scegliere l’alternativa fra un governo di minoranza con Forza Italia e chi c’è, c’è (e Renzi c’è) oppure il voto anticipato. Senza alcuna ulteriore alternativa, esclusi a priori ogni altro tipo possibile di esecutivo.
Renzi c’è e dice: “chi ha vinto governi, chi ha perso faccia l’opposizione”.
Chi l’altra sera lo ha ascoltato ora si chiede: “ma chi ha vinto?”

Chi ha paura del Nazareno Bis?

Rousseau e Casaleggio junior

Sono queste le figure che temono la concretizzazione di un “Nazareno Bis”. Sono già in tanti, fra gli eletti stelliotizzati, che rimuginano sui 300 euro mensili da sborsare alla piattaforma intitolata al filosofo svizzero de “il contratto sociale”, Gian Giacomo Rousseau appunto, che riteneva e propugnava una società in cui l’individuo non avesse alcun altro diritto se non quello derivante dall’appartenenza ad uno Stato; da realizzare, quest’ultimo,  attraverso un “contratto sociale” sottoscritto da persone costrette su un piano di piena e completa uguaglianza. Una associazione, insomma, di individui che invece di essere “liberi di rinunciare” ai loro diritti naturali per aderire ad un accordo che, attraverso un patto d’unione, permetta di costituirsi come comunità e dare vita ad una società politica, siano, invece, membri di un corpo politico costituito da un “Io comune” garante delle libertà individuali e dei diritti (quali? a questo punto non si capisce).

Adesione onerosa ad una visione politica? O piuttosto una sorta di privazione (iniziale?) di un diritto naturale, quello di essere remunerato in funzione del proprio lavoro? Una tassa come ringraziamento per la libertà di incassare uno stipendio da parlamentare? Oltretutto obbligatorio pena l’allontanamento dalla comunità degli Honesti? Difficile, per chi sceglie l’onestà – possibile solo se individuale (non esiste, checché ne dica Beppe Grillo, l’onestà di gruppo) – sentire come “giusta” una menomazione dei propri diritti quale è quella di versare “volontariamente” 300 euro mensili ad una società avente fini di lucro.

Perché la Rousseau e Casaleggio Junior temono un Nazareno Bis? Con il patto del Nazareno, non dimentichiamolo, si concordò, fra Renzi e Berlusconi, di costituire quel fronte politico comune che ha permesso di evitare il fallimento nazionale che si andava delineando a causa della crisi indotta dalla speculazione internazionale abbattutasi, sul nostro paese, a seguito dello scellerato patto imposto all’Europa dall’allora presidente francese Sarkozy, che aveva tanti motivi per mettere a tacere il colonnello Gheddafi (ma questa è un’altra storia già raccontata). Se si realizzasse una nuova versione di quell’accordo, e il centrodestra e il Pd (con o senza Renzi e Berlusconi) dessero vita ad una maggioranza parlamentare forte e coesa, in quanti fra i pentastellati eviterebbero di versare l’obolo volontario alla Casaleggio per poter finalmente essere allontanati dal gruppo degli onesti a pagamento e confluire fra le fila degli onesti per scelta? Che oltretutto sono pure più numerosi?

Invece di 90.000 euro, quanto incasserebbe mensilmente la Rousseau per difendere i diritti degli associati alla Casaleggio?

Perdere fa bene

c’e voglia di rivincita

Ieri, 20 marzo, il Pd modugnese ha organizzato un incontro sul tema, ”le ragioni della sconfitta per una rinascita democratica”. Discorsi e spiegazioni che gli intervenuti: Dario Ginefra, deputato, Adalisa Campanelli, della segreteria regionale del partito, Irma Vaccaro Gammone, del coordinamento del Pd locale e il coordinatore Mimmo Cramarossa hanno largamente discusso con gli elettori intervenuti nella sala Le Volte di via C. Stella.

La pacata esposizione dei motivi del cattivo risultato elettorale e la formulazione di propositi e proposte per la riorganizzazione del Pd, non sono bastate a sopire del tutto lo sconforto che naturalmente pervade gli animi degli sconfitti.

Da osservatore esterno e distante dalle dinamiche politiche del Pd, devo rimarcare come le considerazioni finali dei relatori e gli interventi dei presenti non sono del tutto dissimili da quelle alle quali sono giunti gli esponenti dell’altra parte dell’”arco costituzionale”, quel centrodestra che pur potendo esibire un risultato numericamente migliore non può certamente dirsi soddisfatto del risultato ottenuto nel centrosud. Mal comune…pentastellato? Forse sì, ma non del tutto catastrofico.

Come più volte detto e scritto i prodromi della sconfitta erano evidenti. A chi voleva vederli certo, ma la cecità che ha colpito i politici, giustamente sconfitti in queste elezioni, è stata determinata proprio da quella lontananza, fisica oltre che telematica, denunciata più volte. Distanza che nelle assemblee di ognuno degli schieramenti politici sconfitti, viene indicata come motivo principale della disaffezione degli elettori verso i vecchi partiti di appartenenza. In molti hanno votato per dispetto, per danneggiare, per colpire chi li ha trascurati, non solo per credulità nei regali dei neo babbo natale.

Una sconfitta a testa non fa male a nessuno? Forse. Magari fa pure mezzo gaudio, per completare il proverbio sopra malmenzionato, perché un’altra particolarità che accomuna destra e sinistra nelle loro disamine postelettorali, è la voglia di tornare a fare politica davvero e non semplice amministrazione clientelare. Che sia la volta buona? Del resto come si dice: squadra che perde va cambiata, o sbaglio?

Chi governerà i "brutti"?

Gli incontri e le trattative per la composizione di un governo che governi sembrano avviarsi, sempre più, verso la stessa conclusione del film di Sergio Leone: “Il buono, il brutto e il cattivo”, con il “brutto” che all’atto di sparare scopre di avere la pistola scarica e capisce di essere stato gabbato, mentre il “cattivo” muore, fulminato dal “buono”.

Quel film si conclude con la risposta, urlata dal gabbato “brutto” verso l’imbroglione “buono” al quale egli stesso aveva chiesto “…buono, sai cosa sei? – la domanda – un grandissimo figlio di puttana….la risposta; mitica, italianissima, con un eco che va a perdersi nella colonna sonora di Ennio Morricone.

Da cosa sarà sovrastato invece l’urlo che i tantissimi “brutti” elettori urleranno quando si renderanno conto di essere stati gabbati con promesse che i “buoni” non potranno mantenere?

La sfida che ha visto contrapporsi i partiti storici e il Movimento grillino in un “triello” come quello cinematografico è stata combattuta esclusivamente con le armi dell’inganno, c’era chi la sparava più grossa e chi la sparava più velocemente, mentre, i più creduloni, alla fine non avevano nemmeno la possibilità di difendersi in una campagna elettorale che è diventata una sporca guerra di conquista del consenso elettorale, priva di qualsiasi aspetto politico.

Chi sia il “buono” che ha vinto e chi è il “cattivo” che è morto non è ancora dato di sapere con certezza. Si sa con sicurezza invece chi è il gabbato “brutto” che già urla la sua rabbia, è il popolo italiano.

A noi, gli sconfitti di oggi

spetta, di nuovo, dire la verità

Non sappiamo mentire, non ne siamo capaci. C’è chi mente, sapendo di mentire e altri che, invece, mentono credendo di dire la verità. Sono tantissimi, però, quelli che alle bugie non ci credono e non mentono. Li chiamano moderati. Sono gli sconfitti di sempre. Sono la minoranza, sono quelli che non credono che si possa abbattere il debito pubblico “aumentando” i debiti; sono quelli che il libro di Carlo Cottarelli, “la lista della spesa” lo hanno letto e non scoprono oggi l’autore perché invitato in qualche talk show televisivo, durante il quale gli permettono, ad essere generosi, di dire “qualcosina” ogni mezzora; sono quelli che sanno cos’è la “curva di Laffer” e le differenze fra lafferiani, keynesiani e sudamericani – come chiarisce molto bene nel suo libro “Status Quo”, Roberto Perotti, un altro “tecnico” che come Cottarelli ha ricoperto il ruolo di consigliere economico di palazzo Chigi. I moderati sono quelli che sanno benissimo che esistono dei limiti che la spesa pubblica non può superare e che si interessano di quello che la “politica”, tramite i rappresentanti del popolo, scelti attraverso elezioni libere e democratiche, decidono in merito.

I moderati sono quelli che pur non avendo letto quanto affermavano, già all’inizio del secolo scorso, Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca, con le loro teorie conflittuali non marxiste, sono consapevoli che i politici utilizzano gli argomenti della spesa pubblica e delle tasse per garantire il proprio successo elettorale fingendo, nel frattempo, di tutelare il ceto sociale che li sostiene politicamente. Sono consapevoli, i moderati, che un elevato livello di spesa pubblica, unito ad una riduzione delle risorse per “pagarla”, inevitabilmente genera un disavanzo che nel lungo periodo porta, irrimediabilmente, ad una crisi del debito simile a quella della Grecia. Sono consapevoli, i moderati, che la presenza di candidati “impresentabili” nelle liste dei loro partiti di riferimento toglie ogni voglia di dibattito e confronto con chi li taccia di complicità con tali personaggi. Ogni tentativo di chiarimento sulle tematiche di una “sana Politica al servizio della persona” di una Politica come “…forma più alta della Carità” (cit. Papa Paolo VI) viene reso vano dalle risposte degli “arrabbiati massimi”, quelli che come alberghi di lusso a cinque stelle, addobbano le loro teorie economiche e politiche di lustrini e “trompe l’oeil” e inducono chi li ascolta a credere e divulgare le loro fandonie.

I moderati sono quelli che sanno tutto ciò e che invece di mentire tacciono; sono quelli che sanno che “la verità”, spesso, fa male; la verità dei moderati è sempre diversa da quella degli “arrabbiati”…. e non porta voti.

La credulità degli arrabbiati ancora una volta ha vinto sulla consapevolezza dei moderati.

Sarà ancora più duro il compito di risollevare le sorti di questa nostra Italia dopo che un governo di “arrabbiati spendaccioni” come quello che si appresta a guidarla l’avrà condotta nel baratro del disastro economico.