Una settimana piena


Immagine, allegata all’esposto, sulla quale “sarebbe possibile” individuare, “a occhio nudo”, le costruzioni già esistenti nel 1947 e oggi ritenute abusive dal Comune di Modugno.

Densa di avvenimenti la settimana scorsa a Modugno. Partita con le celebrazioni per il 73° anniversario del referendum “Monarchia/Repubblica” si è conclusa con un consiglio comunale cha presentava un ordine del giorno più numeroso dei cittadini che vi hanno assistito. Ad un certo punto chi scrive, rimasto come unico “estraneo” nell’aula consiliare ad assistere allo svolgimento dei lavori, si è sentito come quella nota particella di sodio che, in una bottiglia di acqua minerale, chiedeva a gran voce “c’è nessuno?”. Non è una novità del resto. I modugnesi da tempo dedicano poca attenzione a quello che avviene a palazzo s. Croce e nelle sue immediate vicinanze. Come ad esempio l’aula del tribunale in viale della Repubblica a Modugno o quella della terza sezione del tribunale amministrativo regionale (TAR) Puglia di piazza Massari a Bari.

Nel tribunale di viale della Repubblica, mercoledì 5 giugno, si è svolta, per l’ultima volta a Modugno, una udienza di quel processo che per le note carenze strutturali della Giustizia barese si teneva nella nostra città.  Processo, penale, relativo alle note vicende di estorsioni e prevaricazioni attuate da politici e professionisti, altrettanto noti in città, a carico di imprenditori del territorio modugnese. Pochi gli assenti al rituale “appello” degli imputati, effettuato dal giudice, all’inizio della udienza che ha visto deporre, come testimoni per l’accusa, alcuni dipendenti comunali. Facce e occhiate non certo serene quelle dei numerosi imputati presenti che, dal prossimo mese di settembre, dovranno rispondere alle accuse del pubblico ministero. Da settembre però lo faranno in un’aula del tribunale approntato nell’ex palazzo della SIP (Telecom) a Poggiofranco a Bari.

Ricordiamo che il comune di Modugno e la Regione Puglia si sono costituite “parte civile” nel processo in quanto danneggiati dai comportamenti criminosi degli imputati.

Anche nel ricorso respinto dal Tar Puglia martedì 4, il comune di Modugno si è costituito parte civile. Nel ricorso, presentato al Tar nel dicembre 2017, si chiedeva l’annullamento:

  • dell’ingiunzione a demolire le opere edilizie realizzate in un fondo agricolo sottoposto a vincolo di totale inedificabilità nell’agro di Modugno, e a ripristinare lo stato originario dei luoghi variato a seguito dell’abuso edilizio;
  • del provvedimento di improcedibilità della istanza di SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in sanatoria, cioè presentata dopo aver già realizzato in massima parte gli interventi edilizi che ora il TAR, e a dicembre 2017 il comune, ha dichiarato essere opere edilizie abusive;
  • di tutti gli atti del comune di Modugno relativi alla questione che la ricorrente riteneva lesivi.

Quello che però anche il Tar Puglia, rigettandolo, ha ritenuto del tutto infondato, è il ricorso verso l’operato dell’allora segretaria generale del Comune che, nella sua qualità di Responsabile per la Prevenzione della Corruzione, ha escluso la sussistenza, in capo all’allora responsabile del Servizio Assetto del territorio, di una situazione di conflitto di interessi in ordine al procedimento in sanatoria attivato dalla ricorrente. Cioè una dipendente comunale che faceva il proprio dovere, come da sempre auspicato dall’attuale amministrazione. Oltre alla questione dell’accesso agli atti dei due consiglieri dell’opposizione e della successiva divulgazione della notizia ritenuta del tutto legittima dal Tribunale Amministrativo Regionale. Bene ha fatto il comune ad opporsi al ricorso e molto bene ha agito l’ufficio legale del comune che ha difeso, con un ottimo positivo risultato, gli interessi della comunità modugnese contro gli abusi edilizi, da sempre bandiera della legalità dell’attuale sindaco.

Una ulteriore nota stonata, presente nel ricorso respinto dal Tar, è quella relativa ai riferimenti sulla domanda di condono per la struttura abusiva realizzata sul terrazzo della residenza dell’attuale sindaco. Ricordo che per tale vicenda tanto si è parlato e scritto, non ultimo ma forse più importante di tutto il resto, è l’affermazione del sindaco Magrone in un convulso consiglio comunale durante il quale dichiarò di non essere mai stato a conoscenza dell’abuso edilizio realizzato sul terrazzo di sua proprietà.

Sbaglio a rammentare che per le domande di condono per gli abusi edilizi era prevista, esclusivamente, la firma del proprietario dell’immobile oggetto della domanda di condono?

Corruzione amministrativa

e crisi dell’edilizia a Modugno

Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione, nel suo recente lavoro “La prevenzione della corruzione e la sua Autorità: il modello italiano”, relativo alla prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione, evidenzia quanto sia diffusa, fra gli italiani, la nozione di “corruzione amministrativa” quando parlano di fatti relativi ad “abuso di funzioni pubbliche a vantaggio di interessi privati”.
Fra qualche giorno qui a Modugno, nelle aule del tribunale di viale della Repubblica, riprenderanno le udienze del processo agli imputati dell’operazione “pay to build” (paga per costruire) del novembre 2012. Processo che vede coinvolti politici, fra cui due ex sindaco, ex assessori e consiglieri comunali, funzionari pubblici, professionisti, imprenditori e faccendieri vari che di fatto, in attesa che le loro richieste estorsive venissero soddisfatte, rallentavano, a volte impedendola del tutto, la conclusione dell’iter amministrativo di loro competenza relativo ai vari permessi a costruire richiesti dagli imprenditori edili del territorio.
Il prossimo 3 aprile il PM ha chiamato a deporre -come testimoni per l’accusa- alcuni imprenditori (non solo edili), ex consiglieri comunali e dirigenti dell’amministrazione.
Il processo, che dura ormai da oltre sei anni, impedendo l’accesso dell’ufficio tecnico agli imputati, non ha però “liberato” il settore edilizio modugnese. Oltre agli strascichi della corruzione amministrativa, un altro pesante fardello impedisce a quell’importante settore economico di operare esclusivamente secondo le leggi dello stato e del mercato. Una zavorra più efficace dell’ammorbamento dell’amministrazione immobilizza l’edilizia modugnese, molto più insidiosa perché passa inosservata, non ci si presta attenzione, non è “illegittima” e non attrae l’attenzione della magistratura inquirente.
L’ostacolo che contribuisce a rendere ancora più grave la crisi economica della città è l’accidia, peccato capitale che permea le stanze e tracima fra gli addetti all’ufficio tecnico, causata dalla constatazione della mancanza di volontà politica di questa amministrazione di contribuire al riavvio del settore edile.
Con il metodico, pervicace ricorso dell’approfondimento dello studio dei progetti, alla persistente ricerca di ogni cavillo, codicillo o dubbia interpretazione delle norme, questa amministrazione, giunta al governo della città per aver promesso la radicale estirpazione di ogni illecito presente nel palazzo, continua a rendere difficile, se non impossibile, il lavoro a decine di operai ed artigiani.
Subito dopo la prima delle sue due nomine a sindaco, Nicola Magrone, con un fervore degno di ben altra finalizzazione, ha provveduto al blocco del Piano Regolatore Generale. Andato e subito dopo tornato da casa (dove una gran parte della sua prima maggioranza lo aveva mandato) ha continuato il blocco del PRG con la modifica delle Norme Tecniche di Attuazione, poi ha approvato una larga parte delle NTA stralciandone però uno degli articoli, il fatidico articolo 4. Approvato quest’ultimo si appresta, “lemme lemme”, in questi ultimi mesi della sua presenza nel Palazzo del Governatore, a mettere a punto il Regolamento Edilizio. Prima lo ha sottoposto all’attenzione dei tecnici, poi lo sottoporrà a quella dei cittadini. Dopo ancora lo confronterà con le leggi nazionali e regionali e salvo complicazioni dovute alla mancata rispondenza di queste ultime alla legge madre di tutte le leggi, la Costituzione Italiana del ’48, come ultimo atto della sua indecidente amministrazione lo porterà in consiglio comunale, per sottoporlo, infine, all’approvazione della sua onniconsenziente maggioranza silenziosa.
Il tutto per rimanere nella storia di Modugno come “il sindaco che è riuscito a rendere Modugno conforme alla sua idea di città”.
Insomma se i modugnesi, gli imprenditori, gli artigiani, gli operai del settore edile e tutti gli altri commercianti ed operatori economici di questa città che speravano in Nicola Magrone per risolvere i problemi determinati dalla corruzione amministrativa, oggi, dopo ben 5 anni di attesa, sperano solo che quest’ultimo anno scorra via velocemente.

Modugnesi come don Abbondio

Sempre a chiedersi chi è

Ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, prima del parapiglia che si sarebbe scatenato di lì a poco nella sua abitazione, Don Abbondio, sempre angariato da don Rodrigo, si arrovella nell’affannosa ricerca di un collegamento mnemonico mentre si chiede: “Carneade, chi era costui?”.

Scherzando un po’ e parafrasando l’opera del Manzoni, ho l’impressione che anche i modugnesi, allo stesso modo del pavido don Abbondio, sono costretti ad arrovellarsi nell’affannosa ricerca di un collegamento mnemonico mentre si chiedono:”, chi è costei?”.

Il nostro sempre caro sindaco, dopo una ricerca durata ben due mesi ha nominato, quale assessora alla cultura comunale di Modugno, una avvocatessa di Bari, la dott.ssa Ilaria Leandro, del tutto sconosciuta ai Modugnesi che si chiedono, appunto, chi sia costei. Modugnesi, che si augurano, però, che la cultura modugnese non sia, alla neo assessora, altrettanto sconosciuta come lo è lei alla città.

ignorantia excluduntur

ignoranza esclusa

Nel consiglio comunale di venerdì scorso, 30 novembre, è il consigliere più anziano, Domenico Clementini, a dimostrare, ancora una volta, che l’esperienza e la puntigliosità negli interventi in aula riescono a mettere in evidenza le ambiguità dell’amministrazione Magrone. Parole e argomentazioni esposte con ardore che hanno reso più evidente la differenza con la retorica del fiume di parole, artatamente confuse, usata dai rappresentanti dell’amministrazione per rispondere alle domande dell’opposizione. Astutamente, fra gli amministratori, sono in pochi a parlare, mentre gli altri tacciono. Per fortuna poiché, allorquando, impavidamente, qualcuno dei sempre silenti consiglieri di maggioranza infrange la (per loro ottima) prassi del rispetto dell’oraziano invito del “favete linguis”, risulta difficile non impietosirsi per la confusione dell’esposizione e per le “sesquipedalia verba” con le quali cercano di pappagallare chi li ha preceduti nelle risposte alle domande poste dai consiglieri di minoranza. Emblematico, di tale parlare a vuoto, lo scambio verbale tra il consigliere Cramarossa e il sindaco Nicola Magrone. Il primo chiede chiarimenti in merito alla situazione degli alunni della scuola Faenza, temporaneamente trasferiti (non si sa fino a quando) nelle aule di via Bitritto, specificando che la domanda avrebbe tanto voluto sottoporla all’assessore all’istruzione Francesca Di Ciaula che, argomenta il consigliere, “a quanto si dice, si sia dimessa dall’incarico”. Fatto che sembra confermato dalla sua assenza in aula. Il sindaco, a questo punto chiede, al consigliere Cramarossa, di chiarire qual è la domanda alla quale bisognerebbe rispondere; il consigliere riformula la domanda e chiede di conoscere la situazione inerente gli alunni della sopra detta scuola.

Quale pensate sia stata la risposta del sindaco? Avrà risposta sulla questione dei bambini della Faenza?

Macché; invece di parlare di quanto richiesto dal consigliere Cramarossa, il sindaco parla di tutt’altro. Con un ulteriore, non breve e arzigogolato, discorso questa volta disquisisce sulle dimissioni forse date o forse richieste all’assessore Di Ciaula; sulle deleghe che forse no, o forse sì, ritorneranno al sindaco che in quel caso fornirà una risposta per iscritto. Su che cosa? A quale domanda? Sui bambini della Faenza o sulla questione non posta esplicitamente dal consigliere Cramarossa delle dimissioni dell’assessore? Boh! non si sa ancora.

Confusione o premeditata presa per i fondelli dell’opposizione?

Torniamo all’anziano oppositore Clementini. Rivolgendosi all’assessore Benedetto, il consigliere chiede chiarimenti su «un problema urbanistico..» rinviato il 28/7/2017, che doveva ritornare in discussione nel primo consiglio comunale successivo ma che «siamo oggi nel 30/11/2018, sedici mesi, dopo varie interrogazioni (…) dalla ditta habitat al comune di Modugno e a tutti i consiglieri, io voglio sapere da lei assessore l’argomento quando verrà in consiglio, perché lei mi disse “quando verrà la dirigente possiamo portare in consiglio” però, a tutt’oggi, passati sedici mesi (…) tutto questo ad oggi non è stato fatto. Allora io mi vado a tutelare, la diffida che abbiamo avuto dall’azienda (…) io mi voglio tutelare perché tutto può succedere, che possiamo andare a pagare i danni a questa azienda del ritardo, lei mi deve dire quando si deve portare questo argomento in consiglio comunale, grazie».

Alla domanda l’assessore risponde «consigliere, ricorderà che quella proposta fu rinviata a seguito di alcuni elementi che erano stati sollevati dal consigliere Cramarossa (…) i vari punti indicati dal consigliere Cramarossa sono stati esaminati, è stata fatta una nuova istruttoria, era stata evidenziata la presenza di un contenzioso, il contenzioso si è concluso con una sentenza che tutto sommato ritiene valida e legittima la delibera della riperimetrazione delle maglie, mancava un solo elemento che io mi sono permessa questa volta di attenzionare, (…) che era quello della competenza. Abbiamo richiesto un parere, è appena arrivato il nuovo responsabile, il parere è stato reso qualche giorno fa e (…) sulla scorta (…) sarà formalizzata la proposta (…)  se andrà in consiglio comunale sarà sottoposta al consiglio comunale».

Avesse ascoltato tale risposta, Monsieur de La Palice, (il quale, se non fosse morto sarebbe ancora in vita) avrebbe sicuramente applaudito.

L’”anziano” Clementini, insoddisfatto della risposta (data al “lei mi deve dire quando si deve portare questo argomento in consiglio comunale”) replica: «sono due versioni, prima viene in consiglio adesso è competenza della giunta, voglio capire, deve venire in consiglio o è la giunta che deve deliberare? È ambigua la cosa di ciò che sta dicendo lei. Perché lei ha detto che questi giorni abbiamo avuto il parere. Combinazione che questi giorni avete avuto il parere, una cosa strana (…) sedici mesi, per un argomento, è una cosa gravissima per una amministrazione, sedici mesi per avere un parere».

La replica dell’assessore Benedetto è stata, … «se lei vuole creare ambiguità (a Clementini! Ora è Clementini che crea ambiguità?) crei pure ambiguità. C’erano dei motivi che erano stati esaminati, è stata rifatta l’istruttoria, completamente. Se verrà in consiglio comunale, sarà illustrata al consiglio comunale l’intera istruttoria, cosa è accaduto da quando l’istanza è stata presentata nel 2012 fino al 2017, cosa è accaduto dal luglio 2017 fino a quando verrà in consiglio comunale. Se verrà in consiglio comunale, se non verrà troverà probabilmente degli elementi in ufficio».

Fine della discussione, perché l’ora a disposizione per le interrogazioni consiliari, come “pretorianamente” ricorda la presidente del consiglio, è terminata.

Punto, l’anziano consigliere non può più replicare, è finita l’ora delle discussioni.

Resta però l’interrogativo posto dal consigliere: a chi spetta deliberare in merito a questa annosa questione? deve essere discussa in consiglio comunale o in giunta?

Rispondere non sarà facile; la retorica e il fiume di parole usato dall’assessore all’edilizia privata –  per non rispondere –  ne confermano la difficoltà.

L’aver richiesto – ed ottenuto solo questi giorni – un parere, ad un esperto esterno all’amministrazione, su quale sia l’organo deliberante che dovrebbe decidere sulla Istanza n. 41/12 prot. 20410 del 02/05/2012 di progetto di Lottizzazione in variante per il 2° intervento di completamento e recupero urbano della maglia “N” a seguito di Variante al P.R.G.C. approvata con D.G.R. n. 562 del 31/03/2005 e di Riperimetrazione approvata con Delibera di c.c. n. 6 del 16/02/2011, pone il sindaco Magrone e l’intera giunta di fronte ad un enorme dilemma:

  1. se portano in consiglio comunale l’approvazione/diniego dell’istanza, incorrerebbero in una denuncia per illegittimità, in quanto il Decreto Sviluppo approvato con D.L. 13 maggio 2001 n. 70 convertito con la Legge 12 luglio 2011 n. 106, testo coordinato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 12 luglio 2011 n. 160 all’art. 5, par.13 così prescrive: (…) b) i piani attuativi. come denominati dalla legislazione regionale. conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale. Tale decreto fu richiamato nel consiglio comunale del 28/7/2017 e costituisce uno degli “elementi che erano stati sollevati dal consigliere Cramarossa” come ricordato dall’assessore al contenzioso Francesca Benedetto.
  2. se, invece, portano in giunta la discussione dell’istanza, potrebbero dover giustificare l’inosservanza del citato decreto, in quanto l’ignorantia excluduntur dalla (sempre da loro ostentata) massima competenza della materia urbanistica e profonda conoscenza del diritto amministrativo rende difficile credere ad una semplice dimenticanza.

Visto che oggi, 3 dicembre, il sindaco Magrone incontrerà la cittadinanza per “discutere di tutto; del vero e del falso” ,forse troverà il tempo per illustrare anche come intende risolvere tale dilemma.

Osiamo donargli un  piccolo suggerimento: dia la colpa alle vecchie amministrazioni. O meglio incolpi di tutto il consigliere Cramarossa del Pd, prenderebbe, come si dice “due piccioni con una fava”.

26 Novembre 2012 – 2018

Dopo sei anni tutto è ancora uguale

Sono da tempo convinto che le leggi sono il risultato della “mediazione politica” effettuata, dai legislatori di ogni epoca, fra le varie anime e convinzioni dei loro contemporanei. Le leggi sono la trasposizione scritta di quanto detto, concordato e stabilito con il consenso della comunità che quelle leggi deve rispettare. Parole alle quali, una volta scritte in documenti ufficiali e portate alla conoscenza di tutti gli interessati, viene riconosciuta quella “forza di legge” alla quale tutti devono sottostare.

Leggi che una volta emanate vivono e sono valide fino al tempo in cui saranno sostituite da altre leggi in un continuo processo di oggettivazione dovuto all’evoluzione sociale della comunità che ad esse si sottomette.

La continua evoluzione delle leggi, la loro “conoscibilità” e la loro osservanza da parte dei rappresentanti delle istituzioni ha, già da qualche decennio, posto l’argine, il limite invalicabile, all’arbitrio di chi ha il potere di elaborare e imporre norme contrarie alla volontà della comunità.

È nei regimi nati fra le due grandi guerre del secolo scorso che alle leggi scritte nei codici ed accessibili e conoscibili a tutti si è raggiunto il livello massimo di ordini e prescrizioni non scritte inconoscibili da parte della comunità. Erano disposizioni emanate segretamente e privatamente, raramente a più di una persona per volta e mai riportate in documenti ufficiali. Una legislazione doppia; in quella effettiva, diversa da quella ufficiale, si annidava l’arbitrio, reso possibile dalla acquiescenza del “cerchio magico” dei sostenitori del “capo” e dalla interessata sottomissione ad esso da parte delle figure, spesso solo figuranti, piazzate nei posti nevralgici di trasmissione delle volontà del despota. Il puro arbitrio viene celato al pubblico, quanto più il potere è visibile tanto meno è contrario alla volontà popolare. L’arbitrio non ha autorevolezza morale e perciò si nasconde nel mistero, nel segreto delle stanze, quasi sempre non istituzionali, nelle quali vengono prese decisioni ed iniziative contrarie agli interessi della comunità. Decisioni e direttive diramate tramite eufemismi ed allusioni, interpretati e recepiti senza la formalizzazione di alcun verbale ma perseguite e realizzate nel rispetto assoluto della volontà del “capo” e della cerchia più stretta dei suoi soci.

Anche a Modugno, da tempo, vige una doppia legislazione. Un modus operandi che come una zavorra pesa sulle spalle delle categorie produttive della città. Sembrava fosse stato definitivamente estirpato sei anni fa; fra qualche giorno, in questo mese di novembre, il 26 con precisione, saranno esattamente sei anni da quando venne alla luce il “sistema” con il quale, in molti, forti della loro influenza, “campavano” , alla grande, sulle spalle di altri. La speranza che tutto sarebbe cambiato, nata con la prima elezione dell’attuale sindaco,  si è dimostrata una vana aspettativa. Negli snodi nevralgici dell’amministrazione cittadina continuano ad essere applicate procedure dalla sostanziale diversa velocità di esecuzione. Procedure che si concludono celermente ed altre che rallentano l’iter amministrativo. Se fino al 2012 tali ottusi “rallentamenti” e immotivati stop erano finalizzati all’ottenimento di tangenti o/e benefit vari, oggi si continua a scegliere con quale velocità devono essere portate a termine le procedure di concessione richieste da imprese e categorie. Si opera una scelta tenendo conto della “distanza” esistente tra il richiedente e l’elettorato di questa amministrazione. Artigiani, imprese edili, ingegneri, architetti e geometri, per finire con le associazioni di volontariato e del commercio, in ultimo ma fra le prime, fra tutte le altre categorie, a subire la doppia velocità ormai sintomatica di quell’eterno “scambio” di attenzioni necessarie alla vittoria nelle competizioni elettorali degli ultimi anni. Dimostrando che, come pontificava Tancredi nel gattopardo, «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Ecco a Modugno, a distanza di sei anni nulla è cambiato.