Usura e riciclaggio, prime 11 condanne per i modugnesi "vicini" al clan Parisi

Prime condanne per i modugnesi (insospettabili e non) “vicini”, secondo la Procura di Bari, al clan di Savinuccio Parisi, boss indiscusso del quartiere Japigia. Si è concluso con 11 condanne il processo con rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Bari, Marco Guida. Gli imputati sono ritenuti dal pm Antimafia Elisabetta Pugliese, che ha coordinato le indagini, parte di un’associazione per delinquere finalizzata a usura, estorsione, riciclaggio ed esercizio abusivo del credito. Le condanne più alte (a 8 anni e 2 mesi di carcere più 4mila di multa e a 8 anni e 10 mesi più 8mila euro di multa) sono state inflitte rispettivamente a Vito Parisi, detto “Bocciul” (cugino del boss Savinuccio e ritenuto il capo dell’organizzazione criminale) e Antonio Fiorentino, soprannominato “Ciu Ciu”. Una condanna a 6 anni e 2 mesi di reclusione più 14mila euro di multa è stata inflitta a Emanuele Fiorentino, figlio di Antonio. Condanne a 5 anni e 12mila euro di multa per Radames Parisi, figlio di Vito, e Damiano Ferrante, soprannominato “Mefisto”. Condanne inferiori sono state inflitte agli altri 8 imputati. Nel dettaglio: 4 anni e 6mila euro di multa per Nicola Colonna, 2 anni e 8 mesi più 6mila euro per il padre Domenico, 5 anni e 4.400 euro per Cataldo Palermo (detto “il benzinaio”), 4 anni e 3mila euro di multa per Alessandro Anaclerio (“il nano”), 3 anni e 4 mesi più 2.600 euro per Claudio Carnevale, 2 anni e 8 mesi più 4mila euro di multa per Deborah Cannale.  Cinque gli imputati assolti: Francesco Falco, Giuseppe Lafirenze, Donato Devito, Tommaso Parisi e Vincenzo Girone. Ventisette, in totale, gli imputati per quei reati, nove dei quali sono a processo con rito ordinario. Tra questi il pluripregiudicato modugnese Francesco De Vito (detto “u russ”), Daniele Bottalico (noto come “mago ciccio”) e Cosimo Capasso, di recente diventato collaboratore di giustizia. Capasso, nel procedimento celebrato con rito abbreviato, si è costituito parte civile, ottenendo un risarcimento danni pari a 50mila euro. Altri 25mila euro come provvisionale all’Associazione Provinciale Antiracket Antimafia e alla Fondazione Antiusura San Nicola e Santi Medici Onlus.

L’indagine, che il 27 ottobre 2010 portò all’arresto di 24 persone, tra cui molti modugnesi insospettabili, avrebbe smascherato una sorta di holding capace di trarre profitti, grazie all’usura, per svariati milioni di euro. La vera novità dell’organizzazione era la formula, definita dagli investigatori “presenta un amico”, con la quale gli usurati diventavano usurai. Imprenditori vittime del clan ai quali veniva proposto di presentare nuovi clienti bisognosi di denaro e in cambio ricevevano sconti sui tassi usurai. Altro sistema per fare business era reclutare i giocatori d’azzardo. Venivano adescati in un circolo ricreativo di Modugno con promesse di grandi vincite nei casinò dei paesi dell’est. A loro venivano offerti pacchetti di viaggio gratis con il solo impegno di acquistare nei casinò fiches per 5mila euro.

Processo Eco Energia, anche i Verdi chiedono di costituirsi parte civile

Processo Eco Energia: altro rinvio per la costituzione delle parti civili. Dopo il rinvio del 17 novembre scorso (a causa dello sciopero degli avvocati) prosegue l’udienza preliminare davanti al gup del tribunale di Bari, Susanna De Felice per la costituzione delle parti civili. Quattro gli imputati per i quali il pm della Procura di Bari, Francesco Bretone, ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Modugno, centrale elettrica alimentata a Cdr della società Eco Energia srl (Gruppo Marcegaglia). I quattro imputati: il progettista Carmine Carella, di Bari; il direttore dei lavori Nicola Trentadue, di Modugno; il legale rappresentante di Ecoenergia, Antonio Albanese, di Massafra e l’ex dirigente del Settore ecologia della Regione Puglia, Luca Limongelli. Secondo l’accusa Carella, Trentadue ed Albanese avrebbero, in concorso tra loro, cominciato i lavori dell’inceneritore senza le autorizzazioni previste (parere vincolante dell’Autorità di Bacino perché l’area è sottoposta a vincolo idrogeologico, oltre al nulla osta dell’Enac per la distanza dall’aeroporto). Avrebbero inoltre, sempre secondo l’accusa, violato il vincolo paesaggistico e archeologico. Limongelli invece, è accusato di falso ideologico e abuso d’ufficio: avrebbe rilasciato parere favorevole di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell’impianto, definendo “erroneamente” le ceneri prodotte dalla centrale come rifiuto non pericoloso.

Dal Comitato cittadino Pro Ambiente apprendiamo che all’udienza erano presenti gli avvocati degli imputati e delle parti civili che ne avevano fatto richiesta già il 13 ottobre scorso, ossia i Comuni di Modugno e Bari e il Comitato Pro Ambiente. A questi si è aggiunto il gruppo dei Verdi Modugno. I legali degli imputati hanno chiesto la non ammissione della costituzione di parte civile per il Comune di Bari, per il Comitato Pro Ambiente e per i Verdi Modugno. Si tornerà in aula il prossimo 3 aprile: si deciderà anche in merito alla richiesta di rinvio a giudizio per gli imputati.

Altro incendio a Modugno nell’area ex Ilca

Ancora un incendio alla z.ind di ModugnoUn altro incendio nella zona industriale di Modugno. Distrutti i capannoni dell’ex mattatoio Ilca, in via delle Margherite. Abbandonati da anni all’incuria e alle intemperie due fabbricati comunicanti della struttura hanno preso fuoco, creando una nube di fumo che ha causato il blocco temporaneo dell’autostrada. Fumo nero visibile anche dal centro della città.

L’incendio è divampato intorno alle 10.30. Prontamente sono intervenuti i Vigili del fuoco del Comando provinciale di Bari e del distaccamento Fiera del Levante: numerose le segnalazioni dei cittadini accortisi della colonna di fumo che si levava dalla fabbrica. Vigili del fuoco che, intervistati telefonicamente, hanno voluto chiarirci la dinamica: “Gli operai, impegnati in lavori di demolizione, utilizzavano anche una fiamma libera: inavvertitamente è stato appiccato il fuoco, interessando pannelli coibentati e materiali di risulta, in pratica di natura gommosa. L’amianto non è stato danneggiato dalle fiamme. Nessun problema per la salute pubblica. Dopo l’iniziale nube di fumo, la situazione è tornata alla normalità. Non c’è stato bisogno dell’intervento dell’Arpa perché con le nostre strumentazioni abbiamo rilevato che non c’erano pericoli. Abbiamo anche eseguito lavori di rimozione”.

L’ispettore tecnico Ferrante ha controllato lo stato della struttura, ormai ridotta ad un cumulo di macerie, e ha decretato il cessato pericolo: “Le fiamme alte hanno distrutto completamente la struttura facendola collassare su se stessa. L’incendio è stato affrontato da diversi punti e, nonostante le dimensioni ingenti, è stato domato senza difficoltà”. L’autostrada è stata riaperta già dalle 15.30.

Sul posto anche squadre della Polizia municipale, coadiuvate da Michele Mastromarco, capo della squadra protezione ambientale della Protezione civile di Modugno. Il consigliere comunale ha deviato il traffico creatosi per l’incendio. Dalle foto si evince come l’area sia interessata da “bonifica di manufatti contenenti amianto” con la società Siba Ships Spa: ha ottenuto l’autorizzazione a costruire un  impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare (fotovoltaica) della potenza elettrica di 4,035 Mw.

Agostino Di Ciaula, assessore comunale all’Ambiente: “So, da notizie apprese da una mamma, che alcuni bambini hanno avvertito malesseri transitori. Fortunatamente non abbiamo registrato alcuna conseguenza importante da questo punto di vista. So che i Vigili del fuoco non hanno avuto problemi nel domare l’incendio in tempi abbastanza rapidi. Il fumo nero si sprigiona dalla combustione delle plastiche, per questo non penso si sia bruciato amianto. Sicuramente ci sarà stata esposizione di diossina”.

Dunque, un incendio non doloso e subito domato. Sperando non abbia intaccato la già precaria situazione dell’aria a Modugno. Gli incendi nella zona industriale di Modugno, però, si ripetono con una certa frequenza, anche a causa dell’elevata presenza di capannoni abbandonati, potenzialmente infiammabili e pericolosi. Non ultimo l’incendio avvenuto lo scorso 16 gennaio in via dei Gelsomini, ancora una volta nella zona industriale.

Donne uccise in quanto tali: l’8 marzo c’è ben poco da festeggiare

festa della donnaIn Italia una donna su tre (tra i 16 e i 70 anni) almeno una volta nella vita ha subito violenze fisiche o sessuali. Secondo i dati Istat sono quasi 7 milioni. La violenza si consuma all’interno dei rapporti di coppia (l’ultimo in ordine di tempo: il 34enne di origini modugnesi che ha ucciso ex moglie, figlia, fidanzato e un amico della donna), tra le mura domestiche ma anche sul lavoro, sotto forma di ricatto. Dati per niente confortanti: descrivono una situazione che va deteriorandosi a discapito della sicurezza delle donne. Il “femminicidio” non ha mai conosciuto soste. Il corpo delle donne è sempre stato oggetto di bottino di guerra, sfruttamento e violenza da parte degli uomini. Nel terzo millennio, nonostante i grandi passi avanti nel rapporto uomo-donna, sono ancora molte le facce di una violenza che non ha confini. Da quella sul lavoro a quella domestica, dall’infibulazione a pratiche orribili come il femminicidio e la tratta. Nel 2010 le donne uccise in Italia (nella maggior parte dei casi, per mano dei mariti, partner o ex fidanzati (solo in un caso su 10 è opera di sconosciuti) sono state 127, il 6,7% in più rispetto all’anno prima. Numeri in costante aumento dal 2005: dal 2006 al 2009 sono state 439 le vittime. Nel nostro Paese ogni tre giorni una donna viene uccisa dal partner. Dai dati della Polizia e dell’Istat emerge che una donna su quattro subisce violenza almeno una volta nella sua vita, con un aumento del 300% del fenomeno (dati Eurispes).

Una strage silenziosa a cui si applica il termine di “femminicidio”, vale a dire ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna in quanto tale. Psicologica, sociale, fisica, fino alla morte: una violenza continua che nel nostro Paese continua a mietere vittime per fattori culturali, quando si considera la donna come un oggetto di proprietà e chiunque, padre, marito e figli, decidono della sua vita. Il contesto italiano è ancora patriarcale e incentrato sulla famiglia: per questo troppo spesso la violenza domestica non viene percepita per quello che effettivamente è, un reato. In tutto questo non aiuta un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime. In Italia basta troppo poco per stroncare una vita. Tanti i casi che ci riporta la cronaca, troppi invece quelli che rimangono nel silenzio. La situazione testimonia la presenza di un problema e un disagio molto forte da parte delle vittime, che richiedono una preparazione specifica da parte degli avvocati e delle forze dell’ordine che rispondono alle loro richieste di giustizia. Qualcosa però è cambiato: l’introduzione del reato di stalking ne è un esempio, ma ad un passo avanti ce ne sono almeno centro indietro. Un esempio è la recente sentenza della Cassazione: ha stabilito che per il reato di stupro di gruppo il carcere come misura cautelare non è più obbligatorio. Occorre dunque tenere sempre alta l’attenzione verso un fenomeno mascherato, sottaciuto, trattato con fredda ironia.

L’8 marzo si celebra la festa della donna: trascorrerà tra numerosi simboli ma, in realtà, c’è ben poco da festeggiare. Per denunciare e combattere le molteplici e brutali forme di “femminicidio” non basta solo una giornata ma un impegno vero che duri 365 giorni (nel caso del 2012 avremmo un giorno in più a disposizione).  Il rischio reale e concreto, è che se ne parli solo due volte l’anno: alla giornata internazionale contro le violenze sulle donne e l’8 marzo. Poi, inesorabilmente il sipario cala, le luci si spengono e tutto ricomincia normalmente, come se niente fosse, anzi quasi fosse la normalità, purtroppo.

Cosa ne sarà del futuro dei 284 lavoratori Om?

om carrelli elevatoriDopo la brusca interruzione delle trattative per la riconversione dello stabilimento Om Elevatori di Modugno, i 284 lavoratori trascorrono le loro otto ore di lavoro in assemblea permanente: aspettano la chiusura dello stabilimento o una buona notizia. Nei giorni scorsi la dirigenza Om ha incontrato i rappresentanti sindacali di Cgil, Cisl e Uil a Confindustria Bari. Obiettivi dell’incontro: comunicazione della procedura prevista dalla legislazione vigente per la gestione della cessazione di attività; discussione delle modalità di applicazione della procedura stessa e focalizzazione degli argomenti di discussione in vista dell’incontro a Roma con il Ministero dello Sviluppo Economico, previsto per il prossimo 14 marzo, all’indomani dell’annuncio che il progetto di reindustrializzazione dello stabilimento barese non è andato purtroppo a buon fine. Nonostante l’impegno profuso in questi mesi da azienda e sindacati, a supporto del successo dell’iniziativa, non è stato possibile garantire la formazione di una compagine societaria idonea a sviluppare il progetto, pur avendo Kion (multinazionale tedesca proprietaria dello stabilimento, ndr) offerto le più ampie assicurazioni possibili in tema di supporto finanziario e organizzativo. Domani, invece, alla Fiera del Levante si riunirà la task force regionale per l’occupazione: parteciperanno azienda e sindacati. Intanto Om ha confermato la propria disponibilità a sostenere l’utilizzo dei piani sociali previsti dalla legge ed ha ribadito la propria disponibilità ad accompagnare la ricerca di possibili soluzioni imprenditoriali alternative che dovesse essere avviata da Istituzioni nazionali e regionali.

Il progetto di riconversione ‘Hybrid’ prevedeva la fabbricazione di migliaia di taxi ‘verdi’, vale a dire a motore ibrido (metano e a scoppio) destinati al traffico delle grandi capitali europee. Piano che aveva trovato anche il supporto economico della Regione Puglia: era pronta a sostenere l’iniziativa (con incentivi per innovazione e ricerca) coprendo il 20% dei 40 milioni previsti per l’intero investimento.

Tra 23 giorni, dunque, la produzione all’Om cesserà. I sindacati continueranno a chiedere la cassa integrazione straordinaria. Nel frattempo resta la speranza (che è sempre l’ultima a morire) di poter riuscire – entro il 30 marzo –  a coinvolgere nuovi investitori nel progetto di riconversione.