Al referendum
chi da una vita spera nel rinnovamento delle istituzioni, non può che votare sì alla riforma della costituzione. Abbiamo raggiunto una età in cui non ci è più permesso di continuare a credere alle tante frottole che ci vengono raccontate ed abbiamo il dovere di dire le cose come stanno. Ci sono migliaia di elettori a Modugno che come i tanti milioni di moderati italiani hanno inseguito un sogno e che cercano ancora di realizzare una comunità più libera e anche più moderna.
Il centrodestra, quello degli anni 90, è nato anche per combattere contro il conservatorismo dell’allora “gioiosa macchina da guerra” occhettiana, schierata a difesa della “Costituzione più bella del mondo” con l’unico scopo di mantenere lo status quo e continuare ad avvantaggiarsi nel sistema esistente allora come ancora oggi.
Oggi quegli stessi moderati che nel 2006, votando Sì in quel referendum, avevano riposto la loro fiducia nel centro destra berlusconiano con la speranza di una semplificazione delle istituzioni del nostro paese attraverso la riforma della Costituzione, con il superamento, in primis, del bicameralismo perfetto, sono sconcertati di fronte alla volontà di tanti esponenti di quell’area politica di condividere le stesse idee dei loro storici avversari.
Nel referendum del 2006, è utile ricordarlo, si votava per confermare il progetto di riforma costituzionale (votato, anche allora, a maggioranza assoluta e per due volte in ognuna delle camere) che prevedeva, fra le altre modifiche:
• Fine del bicameralismo perfetto, con suddivisione del potere legislativo tra Camera dei deputati e Senato Federale. La Camera avrebbe discusso, in linea di principio, leggi di ambito nazionale (bilancio, energia, opere pubbliche, valori fondamentali, trattati internazionali, ecc.) e il Senato leggi che interessano materie a competenza regionale esclusiva o concorrente con lo Stato;
• Riduzione del numero di deputati (da 630 a 518) e senatori (da 315 a 252), con decorrenza tra due legislature. I senatori sarebbero stati eletti contestualmente all’elezione dei consigli regionali; i senatori a vita sarebbero diventati “deputati a vita”;
• Devoluzione alle regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria (le norme generali sulla tutela della salute tornano di competenza esclusiva dello Stato)
• Sarebbero tornati di esclusiva competenza della legislazione statale alcuni ambiti (come la sicurezza del lavoro, le norme generali sulla tutela della salute, le grandi reti strategiche di trasporto, l’ordinamento della comunicazione, l’ordinamento delle professioni intellettuali, l’ordinamento sportivo nazionale e la produzione strategica dell’energia) che, a seguito della riforma del 2001 erano regolati con leggi di principio statali e leggi di dettaglio regionali, ciò avrebbe corretto talune storture della riforma del titolo V approvata dal centrosinistra nel 2001 che per alcune materie aveva già prodotto molti ricorsi alla corte costituzionale e per molte altre ne avrebbe causato a venire.
(da wikipedia: Referendum costituzionale del 2006 in Italia)
La coerenza, una delle qualità più “qualificanti” dell’essere moderato, rende irricevibile l’invito ad aderire alla presa di posizione di esponenti del centrodestra a favore del no alle modifiche della costituzione. Per i moderati questa “giravolta” non è solo un errore tattico ma è anche il tradimento di tutto quello che negli anni si è fatto e a cui sono stati chiamati a dare il loro assenso. Il centrodestra, così schierato, a prescindere dal risultato referendario, è destinato a perdere. In caso di vittoria del sì una larga parte del suo elettorato – i moderati a chiacchiere in cerca di distintivo – confluirà fra le fila renziane; se vince il no regalerà il paese al pressapochismo dei 5Stelle e al revanscismo degli attuali avversari del premier fiorentino.
Oggi il mondo moderato si ritrova costretto all’angolo dai tanti “miracolati da Arcore” che suggeriscono addirittura di consultare quanto Marco Travaglio scrive nei suoi libri e di condividere le tesi di Gustavo Zagrebelsky su come riformare la Costituzione. Votando sì i moderati hanno la possibilità di cambiare innanzitutto questi “simil trainer” d’accatto, traditori e alleati delle forze politiche contro cui il centrodestra ha sempre combattuto e sempre dovrebbe combattere.
Dovrebbero spiegare, questi millantatori dal posteriore vinavillizzato, cosa centrano i moderati con Salvini, il piccolo lepenista lombardo? O con il serioso comico comunque ridicolo Beppe Grillo? Pensano di poter convincere gli elettori ad abbracciare princìpi incompatibili con quelli dei moderati, credono davvero di indurli a votare non su qualcosa ma contro qualcuno? A votare non sul merito ma contro una persona? A diventare cioè come la minoranza del Pd? Come D’Alema, Bersani e i tanti piddini stravolti dal fatto che un telegenico quarantenne “sarrocchino” li ha messi fuori dalla gestione del partito. Cosa loro da decenni.
Gli stessi che nella Bicamerale del ’98 spingevano per una riforma molto simile a quella che oggi osteggiano.
Anche Berlusconi, l’ideatore di quel centrodestra, non si rende conto che la vittoria del sì al referendum, semplificando il sistema istituzionale permetterà di accelerare l’iter legislativo e permetterà quel bipartitismo da sempre suo agognato obiettivo. La vittoria del no condanna il paese all’immobilismo perpetuo, lo stesso che dal 48 frena l’economia italiana e la rende schiava della speculazione finanziaria. La stessa che con l’operazione “Spread 600” del 2011 lo costrinse alle dimissioni. La vittoria del no consegnerà l’Italia al caos politico dei vincitori del referendum, le tante forze politiche che pretenderanno, ognuna per sé, le spoglie di un paese incapace di rinnovarsi.
Parliamoci chiaro: i voti dei moderati del centrodestra, (ce ne sono anche a sinistra e sono tanti, ma non capisco come facciano a starci) saranno decisivi per la vittoria del si al referendum. Molti non se ne rendono conto ma sostenendo la riforma costituzionale, con la vittoria del sì non c’è solo Renzi, che i professionisti del qualunquismo combattono, ma c’è anche la possibilità di dar vita a una nuova aggregazione politica di di tutti i moderati con una forte cultura di governo. Una aggregazione in grado di traghettare il paese fuori dalle acque melmose in cui è arenato da troppo tempo.