di Gianvito ARMENISE
LA RACCOLTA DIFFERENZIATA E’ DAVVERO ALTERNATIVA ALL’INCENERIMENTO DEI RIFIUTI?
PREMESSA
«Se volete un mondo più pulito, allora fate bene e meglio la raccolta differenziata». Questo, in sintesi, il mantra che da qualche anno e con sempre maggior insistenza, proviene incessantemente da svariati settori: associazioni ambientaliste, politica, semplici cittadini.
Negli ultimi anni, poi, la spinta verso livelli percentuali di raccolta differenziata è entrata prepotentemente nell’agenda politica dei sindaci ed amministratori in genere, sino a giungere – in una sorta di imposizione “para-religiosa” del nuovo decalogo ecologista – a multe salatissime per chi non “smista” e non differenzia correttamente i propri rifiuti domestici. Una sorta di “grande fratello verde” che spia nei nostri rifiuti sino a giungere al pubblico ludibrio (in alcuni casi) di chi – per ignavia o per reale incapacità – non conferisce i propri rifiuti così come le nuove “tavole” della legge hanno decretato.
Chi scrive si pone su posizioni nettamente contrarie alla realizzazione degli inceneritori per questioni ambientali ed economiche e, altri soggetti ed organismi sulla medesima lunghezza d’onda, ritengono che la raccolta differenziata spinta, attuata anche col ricorso al metodo porta-a-porta, sia in effetti una valida alternativa sia alle discariche che alla realizzazione degli inceneritori stessi.
La risposta sta, evidentemente, in una logica puramente teorica: si sostiene, infatti, che se si differenziasse correttamente ogni tipo di rifiuto ne conseguirebbe che le materie plastiche, il legno, la carta, il vetro, l’alluminio, ecc. potranno ricevere “alchemicamente” una nuova vita grazie al riuso ed al riciclo. Ciò comporterebbe risparmi di materie prime e migliore sostenibilità ambientale.
Ma le cose stanno davvero così? Ad avviso dello scrivente, assolutamente no perché la potentissima lobby degli inceneritori, ha di fatto trasformato le famiglie – con la complicità della politica e delle finte associazioni ambientaliste – in “fabbriche domestiche” i cui componenti sono operai delle società che gestiscono gli inceneritori. Operai che, anziché essere ricompensati, addirittura pagano tasse e balzelli dai nomi più svariati (TARSU, TARI, ecc.)
ALCUNI CASI
A conferma di quanto sopra esposto, valgano su tutti due esempi concreti provenienti da Livorno (1) e da Ravenna (2).
(1) Si veda: http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2016/05/07/news/rifiuti-meta-della-raccolta-differenziata-va-nell- inceneritore-1.13430872
Un’inchiesta del giornalista Giulio Corsi, basandosi anche sui dati del COREPLA, il consorzio nazionale per raccolta, riciclaggio e recupero degli imballaggi, dimostra che nel 2015 su ben 900 mila tonnellate di plastica, 540 mila sono state destinate al riciclo. Ne consegue che non tutte le materie plastiche oggetto di raccolta differenziata, sono state destinate a riuso e che le restanti 360 mila tonnellate (ossia ben il 40%), sono diventate materiale energetico per gli inceneritori considerato l’elevato potere calorifico insito in questo elemento. Non solo, anche le 540 mila tonnellate destinate a riuso, a loro volta, devono subire un processo industriale di trasformazione per ottenere nuovi manufatti al termine del quale si ottengono altri rifiuti da destinare all’incenerimento: quasi 450 grammi per ogni Kg di plastica indirizzato al riuso.
E la carta? La storia degli alberi da salvare con la carta riciclata? Sempre l’inchiesta condotta da Giulio Corsi, dimostra, dati alla mano, che nel 2015 dalla raccolta differenziata di Livorno, sono state recuperate 5.800 tonnellate di carta. Quasi il 10% del totale della Toscana. Nello stesso anno, l’inceneritore livornese ha bruciato 1.750 tonnellate di materiale cartaceo e legnoso non riciclabile, pari al 30% dell’intera raccolta differenziata. A ciò occorre anche aggiungere che dai processi di riciclo della carta, sono scaturite altre 1.200 tonnellate di scarti anch’essi destinati all’inceneritore che, pertanto, ha bruciato il 50% della carta ottenuta mediante raccolta differenziata.
Questo a Livorno. Ed a Ravenna? Stando alle parole pronunciate dal direttore di Hera, la multiutility che gestisce la raccolta differenziata e l’inceneritore (3), solo la metà della plastica “intercettata” attraverso la raccolta differenziata è destinata al riuso; l’altra viene bruciata nell’inceneritore.
(2) Si veda: http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/39544/differenziata-meta-della-plastica-raccoltada-hera- torna-materia-il-resto-si-brucia.html
(3) Paradossale che il soggetto che si occupi di raccolta differenziata, sia il medesimo che gestisce l’inceneritore.
I DATI
Questi due esempi, riteniamo, valgono da soli a smontare la teoria del riuso indefinito dei rifiuti come nuove materie e della raccolta differenziata alternativa agli inceneritori. Tuttavia, per corroborare ulteriormente la nostra ricerca, intendiamo riportare quanto contenuto in alcuni documenti ufficiali.
«L’industria della plastica si impegna a far si che la plastica non venga più conferita in discarica e sosterrà sia il riciclo sia l’impiego quale combustibile in termovalorizzatori(4) (…) Mentre tutte le plastiche sono tecnicamente riciclabili –meccanicamente o chimicamente –, non sempre, da un punto di vista ambientale ed economico, tutti i prodotti di plastica sono convenienti da riciclare (…) Dopo avere esplorato tutte le possibilità di riciclo, ci ritroviamo con un residuo, una frazione preziosa di plastica, che contiene un significativo valore energetico (…) Raggiungere il consenso della società per un recupero energetico complementare al riciclo sarà sfidante dal momento che l’attuale percezione pubblica sul recupero energetico è debole e frutto di indicazioni superate. Questo quindi si traduce spesso in una forte opposizione ai piani di costruzione di nuovi impianti (…)(5) Efficaci soluzioni di recupero energetico includono la combustione attraverso tecnologie combinate di “calore ed energia” dove l’energia residuale dei rifiuti, inclusi quelli di plastica, è convertita sia in energia elettrica sia in calore. Alternativamente, i rifiuti di plastica possono essere trasformati in uno speciale combustibile (Solid Recovered Fuel – SRF) che può essere utilizzato in un certo numero di impianti di combustione, compresi quelli per la produzione di cemento. L’industria della plastica sosterrà il recupero dell’efficienza energetica in maniera complementare al riciclo per l’allontanamento delle materie plastiche dalla discarica (…)».
(4) Leggi inceneritori.
(5) Leggi “costruzione artificiale del consenso sociale e collettivo”, attorno alla presunta bontà degli inceneritori.
Queste righe, a nostro avviso estremamente illuminanti, sono state estratte dal documento annuale “Plastica – I fatti del 2011. Un’analisi della produzione, domanda e recupero delle materie plastiche nel 2010”(6) redatto da «PlasticsEurope (…) l’associazione che rappresenta i produttori di materie plastiche in Europa. È parte di un network collegato alle principali associazioni di materie plastiche europee e nazionali con oltre 100 aziende associate, che producono oltre il 90% di tutti i polimeri nell’Europa dei 27 insieme a Norvegia, Svizzera, Croazia e Turchia. PlasticsEurope è una delle principali associazioni europee con uffici a Bruxelles, Francoforte, Londra, Madrid, Milano e Parigi», ossia una delle lobby che influenza la politica dell’Unione Europea in tema di rifiuti ed incenerimento.
Quanto riportato sopra è fin troppo chiaro: la plastica rappresenta un materiale troppo prezioso per chi fa affari con l’incenerimento dei rifiuti. Pertanto, incentivare la raccolta differenziata, consente di ottenere materiale plastico che – altrimenti – sarebbe destinato a “morire” in discarica. Solo parzialmente viene riutilizzato per ottenere nuovi manufatti, una fetta considerevole prende la via della combustione. Ancora una volta, emerge chiaro che la raccolta differenziata imposta dall’Unione Europea, è alternativa – per motivi economici – al solo conferimento in discarica ma non all’incenerimento come, invece, viene propagandato in buona o in cattiva fede. Ad ulteriore conferma di ciò, sarà sufficiente sottolineare quanto evidenziato a chiare lettere dal “Rapporto Rifiuti Urbani – Edizioni 2015” redatto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale): «l’analisi dei dati mostra anche che l’incenerimento non sembra determinare un disincentivo alla raccolta differenziata(7), come risulta evidente per alcune regioni quali Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Campania e Sardegna. In queste regioni, infatti, a fronte di percentuali di incenerimento pari rispettivamente al 39,5%, 32,7%, al 27,1%, 26,8% ed al 19,1% del totale dei rifiuti prodotti, la raccolta differenziata raggiunge valori elevati (rispettivamente 60,4% e 56,3% per le prime due, 55,2% per l’Emilia Romagna, 47,6% per la Campania e 53% per la Sardegna)»(8).
(6) Scaricabile al seguente link: http://www.plasticseurope.it/Document/plastica-i-fatti-del- 2011.aspx?Page=DOCUMENT&FolID=2
(7) L’assioma può anche essere invertito: “la raccolta differenziata non scoraggia affatto l’incenerimento dei rifiuti”.
(8) Scaricabile al seguente link: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-urbani- edizione-2015
CHE FARE?
Scopo del presente articolo è stato quello di tentare di strappare la maschera alla menzogna secondo la quale “più si differenziano i rifiuti e più l’ambiente resta pulito”. Affermazione alquanto semplicistica smontata dai fatti e dai documenti summenzionati. L’elevato inquinamento ambientale causato dall’incenerimento dei rifiuti – lungi dall’essere contrastato da alte percentuali di raccolta differenziata – si alimenta, al contrario, proprio in presenza di tali livelli. Pertanto, le multe inflitte dai Comuni ai “trasgressori”, lo sconvolgimento della vita quotidiana delle famiglie impegnate inconsapevolmente nella filiera produttiva del business dei rifiuti, la tracciabilità dei rifiuti prodotti da ogni singolo residente ed altro ancora, fanno parte di quell’immenso processo che – dalla produzione dei rifiuti da parte delle aziende – si conclude con profitti enormi da parte di quelle società impegnate nel loro smaltimento.
Al solo fine di tracciare alcune linee guida per evitare di lasciare monca l’analisi sin qui condotta, si può osservare – schematicamente – che il modo migliore e più corretto per gestire il problema rifiuti, risiede nella loro minore produzione. E’ evidente che l’avvento della società post-industriale ha determinato – scientificamente – un abbassamento del livello del ciclo di vita dei prodotti attraverso un’obsolescenza programmata. Ossia, le merci prodotte sono “impostate” per non essere più idonee tecnicamente al loro utilizzo dopo un certo numero di anni. In questo modo, il sistema economico capitalista, finisce per autoalimentare la propria esistenza in maniera artificiale fabbricando merci che dureranno esattamente il tempo necessario prefigurato per raggiungere il livello di profitto desiderato. Accanto a questa obsolescenza tecnica, se ne evidenzia un’altra indotta da sapienti ed abili strategie di marketing pubblicitario che fanno “percepire” il bene, come inidoneo all’uso preordinato per il consumatore finale.
Se a questo si aggiunge che gli imballaggi – ormai – rappresentano veicoli pubblicitari per le aziende il cui smaltimento grava sulla collettività, il quadro appare ancor più chiaro.
Si potrebbe, ad esempio, incentivare massicciamente il “vuoto a rendere”, già conosciuto in Italia nei decenni passati e praticamente scomparso dalla vita quotidiana, a causa delle pressioni delle lobby della plastica (e quindi del petrolio) nonché delle acque minerali. Anche la distribuzione e l’utilizzo di prodotti “alla spina” sarebbero da incoraggiare e promuovere da parte della politica (alimenti liquidi e non, detersivi, ecc.).
Dal punto di vista dei consumatori, acquisti più responsabili e comportamenti virtuosi che vadano oltre gli schemi imposti dalla pubblicità dell’”usa e getta”, sarebbero auspicabili in questo contesto.