“Per vincere se stessi”
Con l’arrivo dell’estate finalmente è possibile dedicarsi, senza alcuna giustificazione, allo “spaparanzamento” pomeridiano dedicato alla lettura. La calura pomeridiana induce spesso alla lettura di “evasione” ma molti preferiscono l’approfondimento di pubblicazioni, articoli, libri che portano a riflettere su quello che l’autore ha scritto.
Ho appena terminato di leggere il libro di esordio di Gianvito Armenise, noto ai lettori di BSO come autore di interessanti articoli.
Gianvito Armenise, con “Per vincere se stessi”, sua prima opera letteraria, utilizza la forma del romanzo per affrontare una tematica tanto importante per i cattolici …da essere stata dimenticata.
Il libro è scritto bene ed è già una gran cosa, la storia che racconta – e per chi conosce la storia di Gianvito, ancora di più- è un susseguirsi di déjà vù che sollecitano a riflettere sullo stato della nostra fede.
Per acquistarlo, (10 €) potete indirizzargli la richiesta sulla sua mail – tornese1973@libero.it
Quello che segue è uno stralcio di quanto Gianvito Armenise scrive nel suo libro.
(…)Don Domenico era la dimostrazione più evidente e vivente di come il modernismo e la manomissione della forma e della sostanza della liturgia non era un’ipotesi astratta ma una realtà concreta e vivente.
I volti di Antonio e Paolo subivano una metamorfosi muscolare sempre più evidente ad ogni parola che don Domenico proferiva sino ad assumere l’espressione inequivocabile dello sdegno. Entrambi avevano la fronte corrucciata e le sopracciglia inarcuate mentre il loro labbro superiore aveva scolpito una smorfia di stizza dirigendosi verso l’alto.
«Scusi don Domenico, come la Messa celebrata dalle nonnine?» chiese Paolo colpito in modo particolare da quella novità liturgica e mentre il suo volto riprendeva un aspetto più umano.
«Perché figliolo lo trovi stravagante?» rispose don Domenico mentre si lasciava andare ad una grassa e scomposta risata.
Sapeva di provocare e trovava gusto in quel suo atteggiamento che suscitava in molti riprovazione e non condivisione .Ma don Domenico era fatto così. Era un prete moderno, sulla cinquantina, formatosi secondo le nuove tendenze che avevano preso piede nei seminari dopo il Concilio Vaticano II.
In fondo, don Domenico non faceva altro che applicare ciò che il Concilio insegnava: andare verso il mondo, uniformarsi alle sue tendenze per non far apparire la Chiesa come vetusta e distaccata dalle esigenze della società. D’altronde, anche le varianti liturgiche costituivano l’estrinsecazione formale e sostanziale della riforma di Paolo VI del 1969: la Santa Messa non era più intesa come il rinnovamento incruento del Sacrificio di Cristo sul Calvario e che si rinnovava sull’altare attraverso il mistero della transustanziazione. Sotto le specie del pane e del vino, continuava ad esserci la presenza reale del corpo, del sangue, dell’anima e della Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo?
La Messa riformata da Paolo VI, non era semplicemente la riproposizione del memoriale dell’ultima cena come per i protestanti? E se non c’era più sacrificio non c’era più nemmeno un sacerdote, né una vittima da immolare. Ed allora, don Mimmo -e chi come lui- non offriva più un sacrificio buono e gradito a Dio ma- come una sorta di primus inter pares – si limitava semplicemente a presiedere un’assemblea la quale, democraticamente, partecipava attivamente alla cena eucaristica con canti, balli, letture di salmi e preghiere fai-da-te.
Ecco perché don Domenico non trovava nulla di anomalo nel far salire sull’altare le nonnine per recitare insieme a loro una preghiera autoprodotta. Perché quello non era più un altare in quanto non si consumava più un sacrificio. Era semplicemente una tavola dove si appoggiava un po’ di pane e un po’ di vino per ricordare cosa fece Gesù Cristo nell’Ultima Cena. E con queste premesse e queste alterazioni anche nell’uso della lingua e delle formule consacratorie della liturgia, Antonio e Paolo si domandavano se davvero quella potesse ancora definirsi una Messa Cattolica o, piuttosto, una sceneggiata in stile protestante.
Non mi resta che augurarvi una sana riflessione.