Una rotatoria in memoria di Giuseppe Lacalamita
Sono passati ormai 12 anni dal brutale assassinio di Giuseppe Lacalamita, il giovane modugnese rimasto ucciso durante un tentativo di rapina nel corso dei festeggiamenti in onore dei Santi patroni San Rocco e San Nicola da Tolentino. E proprio ieri il commissario prefettizio del Comune di Modugno, Mario Rosario Ruffo, con una deliberazione commissariale ha determinato di “intitolare la rotatoria esistente in Via X Marzo ang. Via Cornole di Ruccia, con il seguente toponimo: “Rotatoria Giuseppe Lacalamita”. Un gesto importante, quello del commissario, che ha reso omaggio ai famigliari della vittima nel corso della consueta messa di commemorazione celebrata dal parroco della Chiesa SS. Apostoli, Don Angelo. Momenti di commozione per il padre Gaspare che non ha ancora pace per ciò che è accaduto. Anche i ragazzi dell’associazione “70zero26”, che l’anno scorso protocollarono la richiesta di intitolazione di un’area della città alla memoria di Giuseppe Lacalamita, hanno reso omaggio alla famiglia. Alla cerimonia era presente anche l’ex vicesindaco Emilio Petruzzi. Tuttavia noi l’anno scorso documentammo l’intera vicenda giudiziaria. La cronaca racconta, infatti, che le indagini condotte dai carabinieri si orientarono sin da subito su tre individui: due fratelli e un loro amico. La Corte di assise di Bari condannò Indrid Tusha e Florenc Seferi rispettivamente a 12 e 23 anni di carcere mentre Arian Tusha fu condannato a 12 anni dopo che si rese latitante in Albania. Successivamente la Corte di Assise d’appello, con una sentenza del 30 maggio 2006, divenuta poi irrevocabile il 13 marzo 2007, assolse Tusha Indrid e Seferi Florenc per non aver commesso il fatto. Arian Tusha, invece, rimasto contumace, non propose appello e quindi la sentenza divenne definitiva. Nel frattempo nel 2007 fu emesso un ordine di cattura internazionale per Arian. La corte albanese si trovò a decidere sul riconoscimento della sentenza italiana e in quella sede applicò una pena superiore infliggendogli 15 anni di carcere. Il resto è storia d’oggi. A luglio di due anni fa Arian Tusha ha proposto istanza di revisione del processo alla Corte di Appello di Lecce. Questa istanza era fondata sulla inconciliabilità di giudicati. In pratica secondo Arian Tusha c’era una incompatibilità di provvedimenti passati in giudicato. La Corte di Appello di Lecce dopo cinque ore di camera di consiglio il 5 luglio dell’anno scorso ha rigettato la sua richiesta. Almeno per il momento, dunque, Arian Tusha è l’unico elemento a cui la famiglia Lacalamita si appoggia per individuare il responsabile di quell’efferato delitto. Analizzando l’intera vicenda si può certamente constatare come ci sia stata un’incredibile serie di lacune investigative a causa delle quali c’è stata l’assoluzione di due dei tre imputati. Per esempio non fu mai fatta la prova dello stub sugli indumenti degli indiziati. Ad oggi la famiglia Lacalamita non ha mai metabolizzato la sentenza della Corte di Assise d’appello di Bari perché da quella sentenza sembra emergere tutta una serie di lacune investigative che inevitabilmente devono ricadere sul pubblico ministero che condusse le indagini e a cui l’intera famiglia si era appellata.
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