Chernobyl è ancora una realtà. Una realtà dimenticata. Sono trascorsi molti anni da quel lontano 26 aprile 1986, quando il nocciolo del reattore n.4 entrò in fusione creando un’esplosione con effetto 100 volte superiore a quello della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. 36 ore dopo l’incidente iniziò l’evacuazione dell’area di Chernobyl dalla popolazione residente. Le conseguenze sulla popolazione locale furono molto forti nelle prime fasi dell’incidente e durano ancora malgrado i decenni trascorsi.
Circa 350mila persone furono evacuate dalla città e dalle zone adiacenti. Nonostante le radiazioni emesse durante quella catastrofe, la città, con 800 anni di vita, riuscì a sopravvivere, anche se mutilata. Vi risiedono ancora operai governativi, impegnati nella rimozione delle scorie nucleari. Circa 700 persone, per lo più anziani, hanno scelto di tornare alle loro case, incuranti del pericolo. A pochi giorni dall’anniversario di questa sciagura che ha colpito tutta l’Europa abbiamo deciso di riaccendere i riflettori su una situazione che è ben lungi dall’essere conclusa.
Lo facciamo ascoltando la testimonianza di chi si è recato personalmente nei luoghi della sciagura e ha visto che cosa è rimasto dopo quel terribile avvenimento. Francesco Bia è il presidente dell’associazione Onlus Gruppo Accoglienza Bambini Bielorussia, che si occupa di creare un ponte tra la Puglia e la Bielorussia allo scopo di accogliere i bambini nel nostro paese, per il periodo invernale ed estivo, accogliendoli nelle case di famiglie volontarie. Per questa sua missione si è recato spesso nell’ex colonia sovietica e, durante i suoi viaggi, ha visitato la città di Prhiet, a sud della Bielorussia.