In bilico tra l’invadente statalismo dell’economia sociale e lo sfrenato capitalismo degli Stati Uniti è arrivato il momento di comprendere che c’è una terza via, che un modello alternativo, vincente, esiste: le piccole e medie imprese italiane lo applicano da anni. Sono state le prime a capire che il futuro era nelle aziende capaci di competere per qualità e capacità produttiva.
Per fare questo hanno scelto di coinvolgere i dipendenti, integrandoli attivamente nel ciclo produttivo. Scelta prevista d’altronde anche nell’art. 46 della Costituzione: “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende”. La partecipazione è la terza via tra il vecchio modello salariale “puro” e il modello postindustriale.
La funzionalità della partecipazione ha avuto le sue prime applicazioni in Germania, nella Repubblica di Weimar ma vanno ricordate le radici nazionali e religiose che ne fanno un’aspirazione del pensiero italiano; a cominciare dalla socialità mazziniana tesa a propugnare l’unione di capitale e lavoro nelle stesse mani. Negli anni ’50 il sindacato CISNAL, con la pubblicazione di saggi scientifici sull’evoluzione del rapporto di lavoro da semplice contratto di scambio fra fatica e salario a forma associativa,trasse ispirazione dall’Enciclica Quadragesimo Anno del 1931 di PIO XI.
Papa Giovanni Paolo II nell’Assemblea annuale dell’Episcopato italiano del 22 maggio 1998 ha affermato che : “Per combattere la disoccupazione bisogna sperimentare con coraggio modalità inesplorate di partecipazione”. La partecipazione agli utili è strettamente legata alla gestione dell’azienda, l’azionariato dei dipendenti sarebbe un buon deterrente ai processi di neocolonialismo economico che, nel caso italiano, hanno portato dei nostri colossi industriali ad ipotesi di trasferimento all’estero della produzione.
L’adozione del modello partecipativo ha un valore includente per il mondo del lavoro, migliorando la competitività dell’impresa, l’integrazione del lavoratore nel ciclo produttivo e la valorizzazione della forza lavoro come capitale umano. E’ la risorsa umana il bene più importante per l’azienda, ed è l’uomo che le moderne tecniche di gestione pongono al centro della nuova economia.