Il riferimento più usato dai rappresentanti delle forze politiche quando intendono indicare la globalità degli Italiani; è quello alla “società civile”. Quasi fossimo, noi italiani, un unico gruppo, un unico insieme di individui con lo stesso tenore di vita, con interessi comuni. Molti sicuramente ci credono, altri no! Mentono sapendo di mentire.
Collettività, SI! Civile – perché vengono rispettate (!) le leggi che regolamentano usi e comportamenti all’interno della comunità stessa – va bene. Società NO! Società indica un insieme di persone che partecipano alle decisioni, agli utili derivanti da iniziative comuni, un tutt’uno insomma, in cui ognuno partecipa attivamente e pienamente, socio di una società. In una società i soci hanno diritti e doveri regolati dal buon senso e dalla convenienza; nessuno rimane a lungo in una società che produce solo debiti e deficit. Come quella in cui, ruberie e mal governo, ci condannano a vivere.
Per sentirsi soci è necessario partecipare alle decisioni, decidere sulla conduzione, sulla direzione che la società intende seguire per raggiungere lo scopo sociale, altrimenti non si è soci ma inferiori, subalterni, pedine senza valore che altri manovrano sulla scacchiera della comunità umana. Non è possibile sentirsi soci se si deve sopportare il peso delle perdite e rimanere esclusi dalla distribuzione degli utili. Non avere diritti ma solo doveri è da sudditi, non da liberi associati. Sentirsi suddito non è piacevole, avere la consapevolezza di dover lavorare una vita intera per lasciare in eredità ai figli una quota del debito pari a due anni di “salario”. (questa è la quota, il dividendo che la cosiddetta società civile vuole affibiarci) non è proprio quello che gli eredi si aspettano da un buon genitore.
Un precetto che ci viene dato nel Vangelo è quello di amare il nostro simile come noi stessi; nel bene di chi ci è vicino risiede il nostro bene; il bene comune è il nostro bene. La partecipazione agli utili della società umana altro non è che il bene generale. Tale benessere, invece, non viene raggiunto dalla totalità degli individui poiché le leggi che regolano la nostra collettività non sono regole societarie ma obblighi, dettati e imposti da individui che vivono al di fuori della comunità, che seguono regole diverse. Rendere generale il benessere, dividere equamente gli utili è stato ed è il sogno e la missione che tanti uomini hanno fatto proprio, la meta che vogliono raggiungere.
Ma se l’intenzione è meravigliosa altrettanto non si può dire dei medoti usati per raggiungere tale traguardo. Per il raggiungimento di tale fine non si è mai tenuto conto della natura umana, l’uomo è tale prima di essere socio; cercare di ottenere dall’uomo un comportamento che non sia essenzialmente umano significa fallire lo scopo già in partenza. L’uomo trova soddisfazione, nel raggiungere il benessere, quando ha ottenuto quello che gli spetta per capacità, per applicazione, per merito personale; pertanto un individuo si sentirà parte della società, si sentirà socio effettivo quando riceverà la giusta mercede, il giusto guadagno in cambio del proprio lavoro, della propria abilità, il pagamento per i sacrifici che sopporta per il bene proprio e degli altri, per il benessere collettivo.
Rendere l’individuo socio effettivo della società civile deve essere il fine dell’azione politica dei partiti che si rifanno agli ideali di giustizia, di libertà, di impegno civile e rispetto degli altri. Tutti gli sforzi devono tendere alla societarizzazione della collettività umana. Societarizzazione, rendere societario l’ordinamento della nostra comunità, compartecipazione alle decisioni, responsabilizzazione del cittadino per cambiarne la condizione da suddito a socio effettivo. Come raggiungere tali obiettivi deve essere l’interrogativo principale cui i partiti devono dare una risposta.
Anni fa per compartecipazione agli utili si è inteso tutto e il contrario di tutto. La grande illusione del socialismo reale ha portato la comunità umana sull’orlo del disfacimento totale, dell’annientamento nell’olocausto finale a causa dell’eterna lotta di classe, conseguenza dell’imposizione della parità, dell’uguaglianza a tutti i costi a prescindere dalle capacità, dall’impegno personale, del merito individuale, insomma sudditi non soci. Legge fondamentale delle società è la partecipazione agli utili, in base alla quota di partecipazione alla società stessa, più quote più utili, più merito più utili.