Con la rivoluzione francese la guerra si trasforma, da semplice gioco tra le dinastie, in guerra di popolo, in causa popolare che suscita l’impegno attivo e le passioni delle masse. Al suddito, trasformato in cittadino, venne imposto l’obbligo di portare le armi. Fino allora gli eserciti dinastici del ‘700 erano formati da rappresentanti di nobili famiglie e da professionisti altamente specializzati che assolvevano anche il compito di mantenimento dell’ordine pubblico.
Tali eserciti, poiché esclusivamente professionali, erano di difficile reclutamento e pertanto non si poteva rischiare di distruggerli in una battaglia decisiva, in una guerra spinta fino in fondo. La guerra era condotta quindi in maniera estremamente cauta, si riduceva a manovre dimostrative piuttosto che sulla battaglia. Con la rivoluzione e Napoleone, invece, i cittadini vengono arruolati nell’esercito, in un primo momento, come volontari e dal 1798 come coscritti. La legittimità del potere politico dipende, da quel momento in poi, dal consenso del popolo verso le istituzioni.
La democratizzazione dell’esercito aveva trasformato la guerra in una lotta a morte, che metteva in gioco vita e futuro delle nazioni. Sulla guerra, il punto di partenza del pensiero marxista – leninista, è che questa è un fenomeno sociale e rappresenta una continuazione e uno strumento della politica. Lenin asserisce che la totalità politica contiene la guerra e che l’intensità e la forza della guerra devono variare al variare delle circostanze e degli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Egli estende i concetti dal campo propriamente militare a quello della lotta politica e li modifica attraverso la sua visione della storia.
In primo luogo rifiuta l’asserzione che esista “l’interesse dello Stato” e che la politica costituisca “l’intelligenza dello Stato personificato”. Per Lenin la politica è l’espressione degli interessi della sola classe al potere. In tal modo la vera guerra è quella tra le classi, fra gli sfruttati e gli sfruttatori. Di conseguenza la guerra non ha mai fine, prosegue anche in tempo di pace, senza soluzione di continuità; ogni possibilità di compromesso fra le parti diventa impossibile: la guerra – che è in sostanza sempre una guerra civile – può terminare solo con la distruzione dell’avversario “il potere, a differenza della gloria delle armi, non è divisibile”.
Mao Tse Tung ha attribuito un posto centrale, nel pensiero strategico militare, alla guerra di popolo; per un ventennio i cinesi sono stati coinvolti in una guerra civile – la guerriglia – che ha la sua essenza nella diffusione progressiva della lotta nello spazio per frazionare le forze nemiche, indebolirle, logorarle e creare le condizioni per attaccarle localmente con successo; nella lunga durata dell’azione per provocare il progressivo logoramento materiale e morale del nemico; nella priorità assoluta della conservazione delle proprie forze; nei legami fra guerriglieri e popolazioni; nell’inquadramento realizzato da personale altamente specializzato fornito dal partito o comunque da guerriglieri professionisti. L’individuo è prima militante del partito che soldato, agisce in modo politicamente attivo.
Riflessioni sulle ragioni storiche del fare opposizione
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