Il “Paradiso” di Michele Piccirillo: dalle vittorie sul ring alle sue tazzine di caffè. L’ex pugile di Modugno si racconta dietro il bancone del suo nuovo bar.Il ‘Gentlemen del ring’, il De la Hoya italiano, il detentore del record di 50 vittorie, 5 sconfitte e un no-contest, a quattro anni era un bambino basso e sovrappeso.
E’ difficile immaginare il pugile modugnese. Michele Piccirillo all’epoca del suo esordio, difficile scorgere nel campione l’ombra del piccolo esordiente che varcò l’atrio della sua prima palestra a Giovinazzo, accompagnato dal padre nonché primo maestro Scipione. Quella del piccolo Michele con qualche chilo di troppo è poco più che un’istantanea, un’immagine a cui nel giro di qualche mese si sovrappone quella della prima vittoria a livello nazionale dilettanti.
A quel primo risultato seguì l’inizio di una carriera inarrestabile costellata da enormi soddisfazioni e grandi sacrifici. Dai 5 anni in poi Michele inizia a viaggiare da solo per partecipare alle gare, a 8 anni trascorre lunghi periodi a Perugia per la nazionale, e a 14 vi si trasferisce grazie al proprio sponsor. Il 1992, oltre ad essere per lui l’anno dei quarti di finale alle Olimpiadi, è anche l’anno dell’esordio nei professionisti, categoria welter. Sono tanti gli incontri rimasti nella memoria degli amanti del pugilato: la vittoria ai campionati europei del ’97 contro McCreesh, il conseguimento del titolo mondiale dei pesi welter (W.B.U.) ottenuto nel’98 con la vittoria contro Delan, gli incontri che lo hanno visto mantenere il titolo contro Duran, Acuna, Crucce e Murray, il match del 2002 con Cory Spink che lo portò a vincere il titolo internazionale I.B.F..
E’ difficile per Piccirillo scegliere il match più importante: ogni incontro mondiale ed europeo è costellato da aneddoti ed insegnamenti, così come ogni sconfitta ha portato con sé utili indicazioni per migliorarsi. Pur avendo viaggiato molto ed essendosi adattato ad altri stili di vita, il pugile ha trovato naturale rientrare a Modugno – dove ora gestisce il Caffè Paradiso nell’omonima via, ritrovando quella realtà in cui ha sempre fatto ritorno, ogni due o tre mesi, anche all’apice della carriera. Nel corso degli anni il ‘gentleman’ italiano ha tuttavia dovuto constatare la profonda differenza che intercorre tra la concezione nostrana del pugilato e quella, molto più radicale, che si respira in America.
Se infatti negli USA il mondo dello sport occupa una posizione centrale nella società, in Italia il successo e l’adesione al pugilato non sono sopravvissuti al raggiungimento di un certo benessere: fino a 6 o 7 anni fa era ancora possibile imbattersi in giovani italiani alle prese con i guantoni, mentre oggi non ci sono più ragazzi disposti a sacrificarsi tanto, a sottoporsi a due allenamenti al giorno, a seguire una dieta rigida, a rinunciare a feste e riposo, a correre sotto la pioggia e la neve senza mollare. Secondo Piccirillo il pugilato è figlio del bisogno, della brama, del rigore: si nutre di uno spirito di dedizione e sacrificio fortunatamente sconosciuto alle nuove generazioni.