Lo fanno apposta, ci vogliono confusi. Come asini che non sanno scegliere fra due cumuli di fieno non riusciamo a decidere se hanno ragione i negazionisti o gli allarmisti. Gli fa comodo lasciarci nell’amletico dubbio se è meglio indossare la mascherina o no. Non si sa se è più pericoloso passeggiare o correre, se ci ammaliamo di più nelle scuole o negli autobus. All’insorgere dei primi sintomi – prima di andare a farci “tamponare” – ci lasciano nell’incerta scelta fra l’obbligo morale di autoisolarsi e di avvisare subito gli ultimi “contatti”, e quello di lasciare alla burocrazia, come prescritto dalle norme, il compito di avvisare clienti, alunni, fedeli, spettatori e colleghi di lavoro. Tempo passato in attesa dell’esito delle analisi durante i quali possiamo continuare a diffondere il virus influenzale dell’anno scorso.
La confusione rende famosi e felici gli scienziati dei social, gli scopritori di magiche ricette culinarie in grado di debellare il virus, gli investigatori internettiani che mettono in luce complotti e cospirazioni internazionali. Tutti contrapposti, nei dibattiti televisivi, a virologi e scienziati di fama mondiale che li contraddicono facendo crescere l’audience e incrementando la confusione.
Non si riesce a scegliere fra chi quantifica in milioni il numero di morti e ammalati e chi svela che in Australia il virus non c’è più. Fra chi dice che è peggio della “spagnola” e chi assicura che è tutto un complotto dei poteri forti. Fra chi dice che bisogna vaccinarsi e chi invita ad attendere la successiva immunità post contagio, la cosiddetta immunità di gregge. Nel frattempo hanno già trasformato tutti in un confuso branco di pecore in attesa di certezze.