Non è una battuta leggera, è una sintesi che allevia il peso di una lunga discussione. Sono sicuro che come non lo è per me non lo è anche per tantissimi italiani. Dire come vorremmo che fosse e confrontare le diverse “visioni” sarebbe il venir meno dell’intenzione di non dilungarci in discussioni poco costruttive. Veniamo all’oggi. Il debito è originato dal credito, basato, questo, sulla fiducia; se non ti fidi non accetti promesse di futuri pagamenti. Il debito statale italiano di 2400 mld è “garantito” dal sistema paese nazionale, la cui ricchezza – fonti Istat/sole 24 – alla fine del 2017 (ultime rilevazioni utili) ammontava a circa 10.000 mld. Il 60% c.a. è detenuto dal 10 % più ricco, il restante 40 % (4.000 mld) è suddiviso fra il 50% più povero degli italiani, con poco più del 5% con il residuo 35% circa di proprietà di quella classe media che vede assottigliarsi sempre più questa “sua” quota a vantaggio del primo decile. In un mio recente articolo ho pubblicato una tabella con la quale ipotizzo una maggior tassazione della ricchezza (a qualcuno piace chiamarla patrimoniale) sui patrimoni più rilevanti. A pagarla sarebbero i possessori di patrimoni superiori a 200.000 € (valore quasi doppio del valore medio della “prima casa” italiana). Tale tassa porterebbe nelle casse statali circa 30 mld all’anno. Tenuto conto che in Italia i possessori di un patrimonio inferiore a 200.000 € sono oltre il 63%, non vedo chi, anche elettoralmente, non sarebbe d’accordo. Per quanto riguarda, e termino, i provvedimenti “urgentivirus” che il governo rimanda in attesa del “visto si faccia” della bancaeurotedesca, l’unico impedimento, detto in maniera banale, è dato solo dal vincolo – molto solido – che unisce in una ristretta élite sovranazionale i possessori di patrimoni ingenti e i detentori di ingenti pacchetti di voti elettorali; con i primi che spingono i secondi ad adottare provvedimenti economici che li avvantaggino finanziariamente. Un aumento dello spread, giustificato dalla manfrina “per favore me li dai? – e moh vediamo, aspetta…in cambio quanto mi dai di interessi?” inscenata questi giorni, tornerebbe a tutto vantaggio dei “manovratori di capitale” di cui sopra. Altri esempi? il tasso di resa del capitale superiore di 4-5 punti percentuali al tasso di crescita (PIL) e tassato meno del reddito da lavoro; mancanza di notizie certe sull’entità dei patrimoni finanziari e di partecipazione azionaria (quello relativo al patrimonio residenziale del decile superiore è inferiore al 10% del loro patrimonio); concorrenza, volutamente sempre sleale, dei bassi tassi sugli utili di impresa applicati da vari paesi (come l’Olanda) su tutti facebook, Google, Microsoft e tante altre multinazionali; segreto bancario nei paradisi fiscali; inesistenza di un unico regolamento fiscale che possa uniformare la tassazione della ricchezza in tutta l’Europa (almeno); ecc. Di esempi ce ne sono a iosa, cercarli senza alcuna lente colorata davanti agli occhi, non è difficile. Sarà banale ma è così. Non è difficile, il documentarsi renderebbe più facile la comprensione dei problemi che sono molto meno complicati di quello che crediamo. Ultimo esempio, banale, lo ammetto, è quello relativo al rapporto capitale/lavoro in Italia: 40/60; cioè per ogni euro di PIL la remunerazione del capitale oggi in Italia è di 40 centesimi; con l’incremento esponenziale di nuove macchine/utensili nei settori produttivi – ormai ridotti al 25% del PIL con il terziario/servizi al 75%, quindi meno incremento di “ricchezza materiale” e aumento della ricchezza finanziaria) tale rapporto è destinato a crescere sempre più velocemente a discapito del lavoro, destinato a diventare sempre più scarso e sempre meno qualificato.
Mi rendo conto dell’“allungamento”, e finisco davvero, anche se tanto altro si potrebbe scrivere ma forse è giunto il momento di allungarsi su di un divano, visto che le panchine sono vietate.