26 Novembre 2012 – 2018

Dopo sei anni tutto è ancora uguale

Sono da tempo convinto che le leggi sono il risultato della “mediazione politica” effettuata, dai legislatori di ogni epoca, fra le varie anime e convinzioni dei loro contemporanei. Le leggi sono la trasposizione scritta di quanto detto, concordato e stabilito con il consenso della comunità che quelle leggi deve rispettare. Parole alle quali, una volta scritte in documenti ufficiali e portate alla conoscenza di tutti gli interessati, viene riconosciuta quella “forza di legge” alla quale tutti devono sottostare.

Leggi che una volta emanate vivono e sono valide fino al tempo in cui saranno sostituite da altre leggi in un continuo processo di oggettivazione dovuto all’evoluzione sociale della comunità che ad esse si sottomette.

La continua evoluzione delle leggi, la loro “conoscibilità” e la loro osservanza da parte dei rappresentanti delle istituzioni ha, già da qualche decennio, posto l’argine, il limite invalicabile, all’arbitrio di chi ha il potere di elaborare e imporre norme contrarie alla volontà della comunità.

È nei regimi nati fra le due grandi guerre del secolo scorso che alle leggi scritte nei codici ed accessibili e conoscibili a tutti si è raggiunto il livello massimo di ordini e prescrizioni non scritte inconoscibili da parte della comunità. Erano disposizioni emanate segretamente e privatamente, raramente a più di una persona per volta e mai riportate in documenti ufficiali. Una legislazione doppia; in quella effettiva, diversa da quella ufficiale, si annidava l’arbitrio, reso possibile dalla acquiescenza del “cerchio magico” dei sostenitori del “capo” e dalla interessata sottomissione ad esso da parte delle figure, spesso solo figuranti, piazzate nei posti nevralgici di trasmissione delle volontà del despota. Il puro arbitrio viene celato al pubblico, quanto più il potere è visibile tanto meno è contrario alla volontà popolare. L’arbitrio non ha autorevolezza morale e perciò si nasconde nel mistero, nel segreto delle stanze, quasi sempre non istituzionali, nelle quali vengono prese decisioni ed iniziative contrarie agli interessi della comunità. Decisioni e direttive diramate tramite eufemismi ed allusioni, interpretati e recepiti senza la formalizzazione di alcun verbale ma perseguite e realizzate nel rispetto assoluto della volontà del “capo” e della cerchia più stretta dei suoi soci.

Anche a Modugno, da tempo, vige una doppia legislazione. Un modus operandi che come una zavorra pesa sulle spalle delle categorie produttive della città. Sembrava fosse stato definitivamente estirpato sei anni fa; fra qualche giorno, in questo mese di novembre, il 26 con precisione, saranno esattamente sei anni da quando venne alla luce il “sistema” con il quale, in molti, forti della loro influenza, “campavano” , alla grande, sulle spalle di altri. La speranza che tutto sarebbe cambiato, nata con la prima elezione dell’attuale sindaco,  si è dimostrata una vana aspettativa. Negli snodi nevralgici dell’amministrazione cittadina continuano ad essere applicate procedure dalla sostanziale diversa velocità di esecuzione. Procedure che si concludono celermente ed altre che rallentano l’iter amministrativo. Se fino al 2012 tali ottusi “rallentamenti” e immotivati stop erano finalizzati all’ottenimento di tangenti o/e benefit vari, oggi si continua a scegliere con quale velocità devono essere portate a termine le procedure di concessione richieste da imprese e categorie. Si opera una scelta tenendo conto della “distanza” esistente tra il richiedente e l’elettorato di questa amministrazione. Artigiani, imprese edili, ingegneri, architetti e geometri, per finire con le associazioni di volontariato e del commercio, in ultimo ma fra le prime, fra tutte le altre categorie, a subire la doppia velocità ormai sintomatica di quell’eterno “scambio” di attenzioni necessarie alla vittoria nelle competizioni elettorali degli ultimi anni. Dimostrando che, come pontificava Tancredi nel gattopardo, «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Ecco a Modugno, a distanza di sei anni nulla è cambiato.

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