Crisi profonda per l’ex OM Carrelli
fanno sempre così quando devono dare una mano a qualche multinazionale. Vengono, accolti in pompa magna da chi ha bisogno di loro, vengono per dimostrare di essere capaci di risolvere la crisi di qualche azienda non più utile alle grandi multinazionali; vedono, o meglio si fanno vedere, dagli ormai ex dipendenti, accanto ai tanti che si adoperano solo per salvaguardare, ed eventualmente accrescere, il proprio interesse e chiacchierano, quanto chiacchierano. All’inizio furono le grandi aziende americane, durante la crisi che colpì l’economia mondiale nel 1929, a mettere a punto la procedura. In quegli anni, le grandi aziende che dominavano i mercati internazionali, avevano il nome dei loro proprietari scritto in grande sul prospetto principale delle fabbriche e degli uffici, conservare il “buon nome” dell’azienda era essenziale per sedere al tavolo dei “grandi affari”. Chiudere una succursale, un punto vendita o un improduttivo ramo d’azienda, per i grandi nomi di allora spesso rappresentava una caduta di immagine, una perdita di prestigio che diventava subito un pericoloso segnale di crisi imminente. Per evitare tutto ciò misero a punto la procedura che attualmente vede protagonista la ex OM carrelli: si inizia a parlare di inefficienza dei dipendenti, si passa alla contrattazione con le sigle sindacali, interviene la politica del “ora aggiustiamo tutto” che promuove azioni di sostegno ai lavoratori ormai disoccupati. Nel frattempo, dal nulla, iniziano ad arrivare offerte di acquisizione prima, di partecipazione al capitale poi, di aziende dal nome e pedigree altisonante delle quali, gli interessati di cui sopra, si affrettano a cantare le lodi. Infine, ed è davvero la fine, arrivano gli sconosciuti pronti a “miracolo mostrare” con innovative produzioni da mettere a punto con l’intervento delle istituzioni alle quali tocca il compito di racimolare i capitali per far fronte ad una crisi ormai irreversibile. Nel frattempo non si parla più di quella multinazionale che aveva la necessità di sbarazzarsi di quello stabilimento e che non teme più per il suo “buon nome” (oggi si chiama Brand). Funziona, dal ’29 funziona ancora.
Dispiace, certo che dispiace, la rabbia è tanta ed è inutile cercare i responsabili fra gli attuali rappresentanti delle istituzioni. Il sindaco Magrone ha fatto tanto in questa vicenda, è doveroso riconoscergli l’impegno, le iniziative e le proposte portate al tavolo delle trattative, così come va detto e riconosciuto anche a tutti coloro i quali si sono adoperati per porre rimedio alle difficoltà degli ex dipendenti della OM.
Porre rimedio, è questo invece che si dovrebbe evitare, il porre rimedio dopo, il correre ai ripari, al cercare di aggiustare mentre invece si dovrebbe prestare maggiore attenzione al cercare, al trovare e finanche al creare opportunità di sviluppo per le aziende, incontrandole e invitandole a comunicare cosa si può fare per loro quando sono ancora vive.
Ne sa qualcosa il Bari di qualche anno fa con il “mitico” Zio Tim!!!
Mi viene spontanea una riflessione su due frasi dell’articolo:”si inizia a parlare di inefficienza dei dipendenti..” su questo aspetto del problema si è sentito parlare, si dice che è stata una delle concause, provocato anche da non avere formato e aggiornato il personale, quindi i dirigenti e proprietari della ex OM lo hanno fatto deliberatamente per poter arrivare alla chiusura dello stabilimento (metodo anni29)sarà vero? Almeno ne prendiamo atto per eventi futuri. e ” pedigree altisonante”, la traduzione letteraria di questa parola è “piede di gru” ..pensa te!!! Tra le righe dell’articolo l’ho intesa come “avvoltoi” pronti a buttarsi sulle carcasse…Complimenti direttore!