i titoli del debito pubblico
Da più parti si fa sempre più insistente la richiesta del ritorno dell’Italia alla sua sovranità monetaria, in un tutt’uno all’uscita dalla moneta unica, senza avere in nessun conto le difficoltà che tutto questo comporterebbe per l’economia nazionale.
L’Italia solo attraverso un modo alternativo della gestione finanziaria del suo debito pubblico può arrestare la sua corsa sul piano inclinato lungo il quale cieche politiche economiche l’hanno istradata. La disoccupazione causata dalla mancanza di domanda da parte delle aziende, in crisi da anni, l’eccessivo peso della tassazione che grava sul lavoro stesso, lo scarso prelievo sulle rendite finanziarie di capitali improduttivi immobilizzati nelle banche che, a loro volta, alimentano il debito pubblico e privato in continua ascesa e lo spettro del rialzo dello spread nei confronti delle emissioni tedesche, hanno la loro origine sull’immane costo del debito pubblico.
L’arternativa? L’abbattimento del debito pubblico.
Come? Iniziando con la trasformazione della quota del debito pubblico detenuto all’estero in debito interno, attraverso il pagamento, in titoli di Stato, dei circa 70 mld di euro di debiti dell’amministrazione pubblica con le imprese, (liberandole dall’attuale stretta creditizia) e continuare a farlo per gli oltre 700 mld annuali di tutta la spesa pubblica. Un inizio che non dispiacerebbe di certo a Confindustria, artigiani e commercianti. Certo questo danneggerebbe un po’ la prosperità della finanza internazionale, che si basa sulla emissione di prestiti con elevato interesse a nazioni in difficoltà economica come l’Italia e la Grecia, e senza un governo che sappia fare la voce grossa con la BCE e la Deutsche Bank per portarlo avanti appare difficile da realizzare.
Tale enorme immissione di massa monetaria nel circolante sarebbe in grado di ridare slancio allo sviluppo dell’economia italiana senza incidere sull’inflazione interna in quanto sarebbe solo apparente. Perché apparente? Perché solo una minima parte di quei mld di titoli sarebbero, di volta in volta, portati all’incasso alla loro naturale scadenza. Verrebbero “sostituiti” con l’emissione di altri titoli di stato di pari importo e con l’emissione limitata di titoli per un importo pari alla loro rendita. Rendita calcolata su un tasso inferiore rispetto all’attuale, determinato da quella speculazione internazionale che i nostri governanti dovrebbero tenere in poca considerazione (se fossero davvero governanti nostri) e che ci costa la bellezza di 80 mld l’anno. Rendita che portandola nel tempo a zero permetterebbe di iniziare ad abbattere il debito pubblico.
Inoltre i titoli di stato potrebbero essere utilizzati negli scambi e negli investimenti fra aziende. Il vantaggio massimo, dell’uso dei titoli del debito pubblico come pagamento stato/aziende, sarebbe quello dell’emissione di tali titoli con tagli inferiori. Titoli di stato da 500 o meglio ancora da 100 euro circolerebbero facilmente per i pagamenti tra aziende, fornitori e dipendenti/consumatori, con un semplice accordo interbancario che possa facilitare il passaggio di tali titoli, senza oneri di trattazione, fra un conto corrente e l’altro. Fra una banca e l’altra. Titoli di stato quindi come “moneta alternativa”, senza necessariamente uscire dall’euro, che potrebbe essere usata dalle aziende italiane per i loro acquisti di materie prime all’estero e che i fornitori esteri userebbero per acquistare prodotti made in Italy se le aziende esportatrici italiane la “pretendessero” come pagamento delle loro merci.
Utopia? No. Per farlo abbiamo solo bisogno di un governo “forte” abbastanza da imporlo in Italia e farlo accettare all’Europa ma con il tipo di governicchi che dal ‘48 l’attuale costituzione ci obbliga a mantenere la cosa appare alquanto difficile da realizzare, ma quest’ultima dissertazione è tutta un’altra cosa.