Bubbone quartiere Cecilia, confermata dal TAR la demolizione ordinata dall’amministrazione Magrone
Il rudere di 5 piani è un abuso edilizio, oltretutto a rischio crolli e dunque pericoloso per l’incolumità delle persone. Dopo 45 anni di dimenticanze e silenzi lo ha definitivamente accertato il Comune di Modugno guidato dal Sindaco Magrone, il quale aveva per questa ragione ordinato lo scorso febbraio la demolizione dell’edificio incompiuto dal 1972 (sorge infatti da allora, tra via Ancona e via Pordenone, sempre e solo lo scheletro di un palazzo). All’ordinanza di demolizione si era opposta la proprietà dell’immobile con ricorso al Tar. Il giudice amministrativo ha deciso respingendo la domanda: ha ragione il Comune di Modugno, l’ordinanza è pienamente valida ed efficace. Si può abbattere ‘il bubbone del Cecilia’.
“Non sussistono i presupposti per l’accoglimento del condono, e tra i contrapposti interessi è prevalente quello della pubblica sicurezza, compromesso dalla statica dell’immobile che non risulta, allo stato, adeguata.” Con questa motivazione il Tar Puglia con decisione del 10 giugno ha respinto l’istanza della società proprietaria del cosiddetto bubbone del quartiere Cecilia (fabbricato allo stato rustico da 45 anni), volto ad ottenere l’annullamento e la sospensione dell’efficacia del provvedimento di diniego del condono e di contestuale demolizione emanato dal Comune di Modugno lo scorso 25 febbraio attraverso il Responsabile del Servizio Assetto del Territorio. L’ordine di demolire dunque, ingiunto dal Comune di Modugno è stato riconosciuto dalla giustizia amministrativa pienamente valido ed efficace. Ma c’è di più: dal pronunciamento del Tar deriva l’effetto più immediato che l’immobile entra di diritto, e gratuitamente, insieme all’area su cui sorge, nel patrimonio del Comune di Modugno. Essendo trascorsi 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione senza che a proprietà vi abbia dato esecuzione, né tanto meno abbia provveduto a mettere in sicurezza il fabbricato, la stessa ordinanza prevede che “il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive saranno acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 31 comma 3 del DPR 380/2001, senza pregiudizio dell’azione penale”.
Dal 1968, anno in cui fu rilasciata la prima licenza edilizia, ad oggi l’iter di realizzazione del fabbricato ha conosciuto una serie straordinariamente tortuosa di sospensioni, sequestri e dissequestri, col risultato, ancora oggi sotto gli occhi di tutti, di un manufatto fortemente degradato e degradante.
“Un’ingiuria lunga quarant’anni in danno degli abitanti del quartiere”, così aveva definito la vicenda il Sindaco Magrone, il quale già nel 2014 aveva disposto alcuni sopralluoghi e una ricognizione giuridica che aveva accertato essere proprietaria della struttura una società con sede nel principato del Lichtenstein, la SOUTH INVESTMENTS COMPANY ESTABLISHMENT. Dalla ricognizione effettuata dall’Amministrazione Magrone nel 2015 è soprattutto emerso che pendeva dal 1986 un’istanza di sanatoria relativa all’immobile, una domanda cioè di condono per gli abusi edilizi commessi nell’iter di realizzazione di un progetto per l’edificazione di un palazzo di sette piani. La domanda di sanatoria riportava come data di ultimazione delle opere il 1972, circostanza in evidentissimo contrasto con quanto chiunque può constatare ancora oggi ad occhio nudo a proposito del fabbricato ubicato tra via Ancona, Via Pordenone e via Canne della Battaglia: l’immobile è un mero scheletro ben lontano dall’essere ultimato, realizzato solo nella sua parte strutturale, come è anche detto nei verbali di sopralluogo effettuati dall’amministrazione Magrone, nei quali peraltro si aggiunge “privo di muratura di tompagno e di tramezzature interne, risulta essere in condizioni strutturali ammalorate per disgregazione superficiale del conglomerato, ossidazione delle delle armature metalliche esistenti, da tempo sottoposto a fenomeni degenerativi dovuti ad attacchi fisici e chimici.” Insomma, l’opera in questione, priva di tamponature esterne e soprattutto della copertura è irrimediabilmente qualificabile come uno scheletro non suscettibile di alcuna sanatoria. Di tutti questi elementi il Tar ha preso atto, giudicando infatti “non corretta”, e perciò rigettandola, la domanda di condono fatta dalla proprietà, e abusivo a tutti gli effetti il ‘Bubbone’ del Cecilia.
Il Sindaco Magrone ha sempre sostenuto che occorrevano e occorrono misure anche radicali contro questo simbolo così eloquente di una storia, soprattutto politica, di totale mancanza di rispetto verso la comunità.