Loher ci fa riflettere su quelle storture, quelle nostre manie che ci offuscano la vista, che non ci fanno ragionare, quei nostri vizi quotidiani a cui ci aggrappiamo nell’illusione che ci tengano vivi, ma che in realtà sono solo delle strade sbagliate, che ci allontanano dalla meta, dal nostro senso originario, dal nostro essere individui sociali, che hanno bisogno di un certo equilibrio tra la ragione e il sentimento, tra la società e la solitudine, tra il lavoro e la vita privata.
La trama è composta da storie differenti, apparentemente distaccate e indipendenti; ogni scena è separata nettamente da quella precedente, sia nel testo del dramma, sia nella trasposizione teatrale. Queste storie si presentano come frammenti, disposti nel dramma in ordine apparentemente casuale; lo spettatore segue contemporaneamente diverse storie, diversi filoni, i cui segmenti si alternano in scena. Non c’è perciò un flusso lineare del racconto, ma differenti racconti simultanei. Non c’è nemmeno un personaggio che possa essere definito come il protagonista e ognuno dei racconti ha la stessa rilevanza. A tal proposito l’autrice stessa dice: “[…] non volevo creare una storia lineare oppure concentrica, e nemmeno un apice, né tantomeno una prospettiva di racconto che ‘porti da qualche parte’. […] non c’è un centro e non si può nemmeno dire facilmente, aha, di questo si parla nel testo.” Non c’è perciò una trama che abbia un punto centrale e una conclusione, semplicemente Loher vuole mostrare degli sprazzi, dei pezzi di vita, senza dover trovare a tutti i costi un inizio e una fine.
Man mano che il dramma si dipana, ci si accorge però che ci sono dei legami fra i soggetti e che essi non sono completamente indipendenti. Le storie cominciano ad intrecciarsi e a creare punti di contatto e tutto contribuisce a rifinire i dettagli dei personaggi e a conoscerli meglio. La struttura del dramma è perciò un ibrido: non sono storie del tutto isolate, ma non convergono nemmeno in una storia più grande; rimangono sospese, in equilibrio.
Regia di Gianluca Schettino
Traduzione di Luisa De Palo
Con la partecipazione di Annarita Cotecchia, Daniele De Bartolo, Donatello Romanelli, Federica Capriulo, Giorgia Villa, Gianluca Schettino, Giusy Assanti, Giuliano Cavalcoli e Lilli Del Zotti.
Assistente alla regia Adele Saracino
Coreografie di Martina Salvatore
Tecnico luci e audio Giacomo Burdi