Quei fornetti, in stile architettonico d’altri tempi, sono in maggioranza spogli di qualsiasi testimonianza affettiva mentre altri sono adorni di fiori finti, sbiaditi dal sole. Qualche lucetta perlopiù a penzoloni arde ancora appesa ai muri. Ci siamo divisi, persi, ognuno con se stesso a curiosare tra i loculi a guardare foto, testimonianze di vite d’altri tempi. Ad un tratto sono inciampato in qualcosa, uno spezzone di travertino. L’ho raccolto e girandolo sono rimasto abbagliato dall’immagine di una giovane donna incastonata nel metallo. Non riuscivo a distogliere i miei occhi dai suoi, sembrava volesse parlarmi, chiedermi aiuto. Il cuore ha cominciato a battermi sempre più forte. “Timotea P. – anni 31”, é tutto quello che sono riuscito a leggere nei caratteri incisi su quel pezzo di marmo. Ho cercato freneticamente il resto della lastra tra vasi rotti e fiori secchi per saperne di più su di lei, ma inutilmente. E’ sopraggiunta mia figlia alla quale ho subito presentato la mia amica Timotea, che avevo già riposto all’interno d’una cupoletta in pietra grigia porosa da dove, verosimilmente, s’era staccata, forse per abbandonare quel luogo triste e riprendersi con forza la sua giovane vita. Romina è restata come ipnotizzata nel guardarla. Improvvisamente, visibilmente emozionata, ha allungato la mano e con le dita sottili e tremanti, le ha sussurrato, accarezzandole il viso:
Una vita spezzata
ingiustamente
negli anni più belli
della tua esistenza.
Cosa non darei
per conoscere
i tuoi pensieri,
i tuoi progetti,
le tue paure,
le tue emozioni,
le tue sensazioni,
tutte le speranze,
le delusioni,
le amarezze e i rimpianti
celati dietro
a quegli occhi sognanti,
a quel triste sorriso.
All’uscita del cimitero, la Sora Paola ci ha salutato calorosamente come sempre mentre le riconsegnavamo le forbici che ci aveva prestato per tagliare a misura i gambi dei fiori. Con Romina ci siamo guardati in faccia, ci siamo fatti un sorriso d’intesa, come solo i complici sanno fare. Abbiamo acquistato una piccola confezione floreale assortita e, senza proferire parola, siamo ritornati da Timotea.
In macchina, durante il viaggio verso casa, ci siamo ripromessi che nel futuro l’avremmo onorata come una persona di famiglia.