Eredità di quella rivoluzione, che sembra non aver cambiato nulla, è la divisione in sinistra, destra e centro dello schieramento politico nelle aule parlamentari d’ogni dove. Divisione in rigidi schieramenti che non permettono di schierarsi fra favorevoli o contrari ad un provvedimento. Si approva o meno un provvedimento, una proposta tenendo conto solo della “zona” di appartenenza del proponente. Si spera sempre, oggi come allora, nella buona volontà dei nuovi arrivati nelle aule parlamentari ma, come sempre, anche negli ultimi arrivati vince il senso di riconoscenza verso chi ha permesso loro di entrare in quelle aule: il partito, lo schieramento nel quale gli è stato concesso di candidarsi. Non si finisce mai di discutere di legge elettorale, continuamente si promette di dare agli elettori la possibilità di scegliere chi votare ma si continuano a proporre meccanismi elettivi che prevedono essenzialmente ed esclusivamente la possibilità di votare persone comprese in un elenco determinato dai partiti. Non esiste perciò assolutamente la possibilità di votare chi vogliamo, possiamo scegliere solo fra i nomi elencati nelle liste elettorali compilate dalle segreterie dei partiti o da associazioni locali ed organizzazioni, più o meno politiche, che durano solo il tempo necessario per presentarsi alle elezioni.
Eredità negata invece della rivoluzione francese è il suffragio universale (allora solo maschile, dati i tempi) che prevedeva una procedura elettorale a diversi gradi, nella quale i deputati nazionali non erano eletti immediatamente. Gli elettori si riunivano per aggregazioni locali (parrocchie) e in tale sede redigevano un proprio “cahier de dolèances” inoltre, sulla base del numero di famiglie, designavano uno o più delegati alle assemblee territoriali. Qui durante un’assemblea preliminare venivano sintetizzati in uno solo i diversi “quaderni di doglianza” e si sceglievano quelli che oggi potremmo chiamare i grandi elettori che in una fase successiva nominavano i deputati agli stati generali. Altro che il porcellum voluto dai nostri porcari.
Chi ringraziano per l’elezione
Alla vigilia della rivoluzione del 1789 la situazione finanziaria della Francia è disastrosa. La monarchia spende a piene mani per la corte, l’esercito e la burocrazia e si indebita sempre più con i banchieri; inoltre il deficit si è aggravato a causa del sostegno militare del paese alla rivoluzione americana. Sarebbe necessaria una riforma del sistema tributario per costringere i maggiori proprietari fondiari, l’alto clero e la nobiltà a pagare le tasse dalle quali sono completamente esentati in virtù di antichi privilegi. Ancora più necessaria sarebbe la riforma del sistema di riscossione delle tasse, estremamente deficitario; l’esazione delle gabelle è infatti appaltata ad un’istituzione privata controllata da finanzieri francesi e svizzeri, raramente onesti e le provincie e i territori sono molto diversificati economicamente fra loro a causa di privilegi e diritti concessi dai vari sovrani. Sostituendo, come in un gioco da tavolo, Francia con Italia, monarchia con partiti, corte con parlamento, gabellieri con Equitalia e territori con regioni a statuto speciale, possiamo dare inizio a “Le divertissement” dell’ipotizzare la data con cui sostituire quella del 1789 e confermare così il pensiero di Blaise Pascal: “L’unica cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie”.
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