Quello che ha visto lo ha segnato profondamente. “Ciò che mi ha colpito è stato l’innaturale silenzio della città – racconta Francesco Bia – il tempo e il paesaggio sembrano fermi a quel terribile giorno. Le case sono tali e quali a come gli abitanti le hanno lasciate al momento della fuga. Tutto è rimasto uguale. Il silenzio è assordante e il numero delle tombe era incalcolabile. Pochi sono coloro che hanno deciso di continuare a vivere nella zona e, i più, lo fanno perchè spinti da una povertà estrema.
Ho visitato i centri dove gli ex bambini di Chernobyl vengono assistiti – continua – ragazzi con malformazioni fisiche e psicologiche che non potranno mai vivere una vita normale, abbandonati dal governo, dimenticati e costretti a vivere con il minimo in quella che è la loro unica casa. Molti di loro sono soli al mondo e non hanno nulla. I più sfortunati vivono in istituti psichiatrici ove, alle volte, manca tutto.
Numerose associazioni italiane come la nostra si sono occupate di fornire aiuti e cure mediche allo scopo di regalare almeno un sorriso alle centinaia di famiglie in difficoltà, ma la situazione è tutt’altro che risolta”. Una cruda testimonianza questa che abbiamo riportato, ma necessaria per farci capire che anche se i riflettori mediatici si sono spenti, non significa che tutto sia tornato alla normalità. Coloro che hanno vissuto un disastro nucleare ne portano ancora i segni e la storia recente ci ha insegnato che il pericolo che accada nuovamente è tutt’altro che escluso.
Articolo edito nella versione cartacea di aprile 2011.