Una delle massime più comuni che circolano negli ambienti borsistici internazionali, riguarda la velocità con la quale gli stupidi si separano dai soldi. Le recenti crisi dei mercati finanziari hanno messo in ginocchio, ancora una volta, tanti piccoli investitori che hanno visto sparire, con una velocità direttamente proporzionale alla loro “furbizia”, il denaro così improvvidamente buttato sulla ruota di quelle gigantesche roulette che sono le borse valori.
Uno dei principi cardine del “guadagno” borsistico è basato sul rischio e la fiducia è uno dei rischi meno quantificabili per un investitore. Calcolare fino a che punto ci si può fidare dell’economia cartacea della borsa è uno di quei momenti in cui la capacità di valutazione degli investitori è messa alla prova. Una economia solida è data dalla capacità di controllo che la classe politica del paese ha sui parametri base dell’economia: moneta in circolazione, velocità di produzione e di scambio dei beni acquistabili, potenzialità produttiva. Attraverso il controllo di questi parametri è possibile dare e mantenere un giusto prezzo alle merci. Al crescere della massa monetaria e dei beni prodotti non c’è stato un altrettanto rapido aumento della velocità di circolazione di tali beni. In altri termini: all’aumento della produzione non è seguito il potenziamento delle infrastrutture necessarie alla circolazione e distribuzione dei prodotti.
Le merci insomma non fluiscono in modo regolare e rapido dal produttore al consumatore. Produrre BMW in Vietnam permette, alla casa tedesca, di abbattere i costi relativi alla manodopera, ma non permette al neo operaio vietnamita di usare l’auto tedesca. Produrre computer in India permette di vendere modernissima tecnologia a basso costo, nel contempo, però, pochi indiani possono usare i computer prodotti nel loro paese. Poche strade in Vietnam per apprezzare la guida della vettura tedesca, pochi chilometri di elettrodotti in India per utilizzare i tanti elaboratori prodotti.
Troppi soldi e poche merci. Arruolato, spesso forzatamente, in qualche fabbrica per produrre merci che non utilizzerà; pagato con soldi che gli permettono di acquisire prodotti che non può utilizzare, anche l’ex contadino di cui è proverbiale la pazienza, scende a manifestare in piazza contro i suoi governanti. Proteste che costringono i governi a finanziare super strutture, grattacieli, ponti, aeroporti oltre alle mitiche strade che non conducono da nessuna parte. Per fare questo i governi hanno bisogno di denaro e il modo più rapido per rimpinguare le casse è il prestito internazionale.
Per garantire tale prestito, però, è necessario aumentare la tassazione e di conseguenza aumenta il malcontento del tunisino, dell’egiziano, dell’albanese o del neo capitalista marocchino. Tutta gente attirata dai soldi della paga, dalla moneta che assicura l’ingresso nel dorato mondo dei consumatori. Hanno dovuto rendersi conto, invece, da un giorno all’altro, di non aver fatto una buona scelta nel lasciare il proprio, piccolo, appezzamento di terra che gli permetteva, perlomeno, di produrre per sé e la propria famiglia quei beni necessari alla sopravvivenza.
Nella economia agricola che basa il suo mercato sullo scambio delle merci prodotte, quando appare la moneta in grado di acquistare un bene di consumo, senza in fondo esserlo anch’essa, si crea subito una inflazione del 100% in quanto circolano merci e denaro in pari valore dove prima circolavano solo le merci. Nel tempo che trascorre durante una sessione della borsa di Tokyo, in cui l’indice nikkei scende di mezzo punto e gli investitori perdono decine di milioni di yen, qualche gallo di razza “buona” pizzica, ben volentieri, lo stesso numero di gallinelle del giorno prima, assicurando lo stesso numero di polli del mese precedente. Certo i polli non portano alla felicità, non permettono il “progresso”, ma non ci è stato certo prescritto dal medico il “progresso”.