Se consideriamo il D.Lgs. 22 del 5 Febbraio 1997 (“Attuazione delle direttive 91/156/ CEE sui rifiuti, 91/689/ CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”), il ricorso all’utilizzo di impianti di termovalorizzazione dovrebbe seguire esclusivamente un percorso che inizi con una valida raccolta differenziata rispettando le percentuali imposte dalla legge. Se consideriamo che la percentuale di raccolta differenziata dei comuni della provincia di Bari nell’anno 2010 ha avuto come media il 15,18%, siamo abbondantemente al di sotto della soglia prevista dalle stesse disposizioni di legge che prevedono la realizzazione dei termovalorizzatori per la chiusura del ciclo.
Com’è possibile parlare di necessità di un inceneritore quando non sono state messe in atto tutte le strategie necessarie al potenziamento della raccolta differenziata, della riduzione, del riciclo e del riutilizzo di rifiuti? È necessario considerare, in ultima istanza, anche le ricadute economiche sui cittadini delle zone interessate. “È noto infatti – si legge nella relazione presentata durante la conferenza di servizi da Città Plurale – che il processo di termovalorizzazione risulta essere la procedura di smaltimento rifiuti più impegnativa dal punto di vista economico: un’indagine del 2005 stimava i costi da un minimo di 86.38 euro per tonnellata ad un massimo di 105.3 euro per tonnellata.
Se sommiamo tali costi a quelli di smaltimento delle scorie prodotte dopo il trattamento, si supererebbero di gran lunga quelli affrontati dalle amministrazioni comunali e potrebbero motivare (come già accaduto per numerose altre amministrazioni comunali italiane) un aumento delle imposte locali per i rifiuti a carico dei residenti e ritardi negli investimenti economici comunali orientati alla differenziazione, al riciclo ed al riutilizzo dei rifiuti.